San Pio V e l’applicazione dei decreti del concilio di Trento

Pietà mariana e zelo apostolico

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30 aprile 2020

Si narra che un giorno il giovane Antonio stava pascolando un gregge di bestiame, quando vide due frati domenicani mentre percorrevano le campagne per predicare il Vangelo. Incuriosito, il ragazzo corse verso di loro e iniziò a discorrere con i due, che meravigliati da tanta maturità, chiesero ai suoi famigliari di lasciarlo entrare nell’ordine dei predicatori. L’episodio avvenne a Bosco Marengo, Alessandria: a quel tempo Antonio Ghisleri, così si chiamava il ragazzo, aveva circa 14 anni.

Era nato il 17 gennaio 1504 in una modesta famiglia. Poco dopo quell’incontro, il ragazzo entrò tra i domenicani a Voghera. Si integrò immediatamente nella vita comune e ben presto ricevette l’abito religioso e il nuovo nome di Michele. Compiuti gli studi a Vigevano, a 15 anni emise i voti, poi fu inviato a Bologna per perfezionare gli studi. Nell’ateneo domenicano dette prova di grandi capacità intellettuali e venne incaricato dell’insegnamento della teologia. A 24 anni ricevette l’ordinazione sacerdotale. Celebrò la prima messa a Bosco Marengo.

Rientrato a Bologna, proseguì l’insegnamento, fino a quando venne nominato priore del convento di Vigevano, poi di Soncino e di Alba. La situazione in Lombardia si faceva sempre più difficile a causa dei continui passaggi dell’esercito francese e dei mercenari protestanti svizzeri che introdussero libri e stampe contro la Chiesa. Ciò destò la preoccupazione di Paolo III e si corse ai ripari. Nel 1545, il Sant’Uffizio nominò fra Michele inquisitore per la sua solidità teologica e l’integerrima vita morale. Venne inviato nel territorio di Como, dove la propaganda calvinista unita agli interessi economici stava provocando fratture e divisioni. Fra Michele con grande austerità percorse i paesi e la città cercando di spegnere i focolai di eresia. La sua condotta destava ammirazione: girava a piedi mentre recitava il rosario o pregava ad alta voce. Inoltre, preferiva dormire sui pagliericci piuttosto che in comodi letti. Durante il suo incarico si trovò anche contrapposto ai canonici di Como che avevano mercanteggiato per la vendita di libri protestanti. Accusato davanti al governatore di Milano, fra Michele si recò Roma, dove incontrò il prefetto del Sant’Uffizio, il cardinale Paolo Carafa, al quale fu legato da sincera amicizia.

Convinto delle qualità di fra Michele, il cardinale Carafa lo nominò commissario generale del Sant’Uffizio. Nel maggio 1555 il porporato venne eletto Papa con il nome di Paolo Iv e confermò fra Michele nella commissione del Sant’Uffizio. Nel 1556, lo nominò vescovo di Sutri e Nepi. Il 15 marzo 1557 lo creò cardinale e qualche mese dopo, il 14 dicembre 1558, grande inquisitore. Benché avesse ricevuto la porpora, non smise mai di condurre una vita ascetica e rigorosa, ma al contempo, caritatevole verso i suoi collaboratori.

Alla morte di Paolo Iv, il 28 dicembre 1559, venne eletto Papa Giovanni Angelo Medici di Marignano, che prese il nome di Pio iv. Non vi fu molta intesa con il nuove Pontefice, e fra Michele, il 17 marzo 1560, venne nominato vescovo di Mondovì. Morto Pio iv, il 7 gennaio 1566, fra Michele venne eletto Pontefice e scelse il nome di Pio v. Uno dei suoi grandi elettori fu san Carlo Borromeo, nipote di Pio iv.

A Roma l’attendevano grandi sfide. Lo aveva preceduto la sua fama di severità, che si concretizzerà in alcuni provvedimenti contro il vizio del bere. Uno dei suoi obiettivi fu la riforma del clero: lottò contro l’immoralità e l’ignoranza, visto che molti preti non si confessavano da anni. Riportò anche l’osservanza regolare nei conventi e promosse opere pubbliche per migliorare gli acquedotti e gli approvvigionamenti idrici dell’Urbe. Convinto del bisogno di combattere l’eresia con una buona preparazione del clero, promosse la pubblicazione della Summa theologiae di san Tommaso d’Aquino. Preoccupandosi della popolazione, fece distribuire viveri e denaro ai poveri e favorì la fondazione di numerose istituzioni per la loro assistenza, come il Monte di Pietà e gli ospedali di San Pietro e di Santo Spirito. Durante la carestia del 1566 e le epidemie che seguirono, dette ordine di sostenere i bisognosi e di promuovere i servizi di sanità pubblica.

Trovandosi di fronte alla necessità di recuperare ingenti somme di denaro per mantenere gli indigenti, fece eliminare ogni spreco e spesa superflua. Per questo, non volle farsi nuovi abiti, ma fece riadattare quelli appartenuti ai suoi predecessori. Nel 1566 pubblicò il Catechismo romano, secondo le indicazioni del concilio di Trento. Nel 1568, con la bolla Quod a nobis, promulgò il Breviario romano riformato, conosciuto anche come breviario di san Pio v. Riformò la Curia, nel 1569, e creò le congregazioni dei Vescovi e dell’Indice dei libri proibiti nel 1571. Ordinò la convocazione regolare dei Sinodi che dovevano servire a diffondere i decreti del concilio. Con la bolla Consueverunt Romani Pontifices del 17 settembre 1569 promosse la devozione del Rosario. Ma il suo instancabile sforzo fu rivolto all’applicazione integrale dei decreti del concilio di Trento. Con la costituzione apostolica Quo primum tempore del 14 luglio 1570, fissò la forma definitiva della messa pubblicando l’edizione riformata e unificata del messale romano, conosciuto come messale di san Pio v.

Nel 1571 gli ottomani minacciavano l’Europa. Dopo il saccheggio dell’isola di Cipro, Pio v promosse la formazione di una Lega santa, a cui aderirono la Repubblica di Venezia e la Spagna, e indisse digiuni e preghiere, soprattutto, la recita del Rosario. Il 7 ottobre 1571, gli eserciti della Lega vinsero gli ottomani a Lepanto. Pio v attribuì la vittoria alla Madonna e istituì la festa di Nostra Signora della Vittoria, che Gregorio XIII chiamò Nostra Signora del Rosario.

Pio v morì il 1° maggio 1572. Fu beatificato da Clemente x il 1° maggio 1672 e canonizzato da Clemente xi il 22 maggio 1712. (nicola gori)