La diocesi di Roma e il catechismo durante la pandemia

Leggere questo periodo con occhi cristiani

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22 aprile 2020

«In questo periodo dove tutto, o quasi tutto, è fermo abbiamo voluto mettere una pulce nell’orecchio a quanti svolgono attività catechistiche venendo incontro ai loro interrogativi e ai giusti dubbi». Don Andrea Cavallini, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma, spiega così a «L’Osservatore Romano» il significato della lettera inviata a tutti i catechisti in occasione della Pasqua. Lettera in cui vengono suggerite indicazioni pratiche e «su cosa puntare». «In relazione a quanto ci hanno riferito coloro che sono impegnati nell’educazione cristiana dei ragazzi — spiega don Andrea — abbiamo invitato i formatori a evitare atteggiamenti estremi: impegnarsi poco, perché “tanto è tutto sospeso”, o impegnarsi troppo in un iperattivismo che non porta frutti. Le prime comunioni, così come le cresime, sono bloccate a tempo indeterminato e i corsi di catechismo saranno gli ultimi a ricominciare, quando saranno riprese anche le celebrazioni liturgiche». Per ora gli incontri si svolgono on line o tramite telefono, come è accaduto a marzo per gli scrutini rivolti ai catecumeni e ai loro catechisti che avrebbero dovuto svolgersi nella basilica di San Giovanni in Laterano alla presenza del cardinale vicario Angelo De Donatis: sulla pagina YouTube dell’ufficio catechistico sono stati caricati dei video, poi commentati telefonicamente e arricchiti da riflessioni, approfondimenti e preghiere per meditare parti del Vangelo.

Ma un possibile spiraglio, una data indicativa in cui far ripartire gli incontri di preparazione ai sacramenti? «Si pensa a settembre — afferma il sacerdote — o più presumibilmente ottobre, che è anche l’obiettivo individuato dalle varie parrocchie. Questa, però, è una previsione essenzialmente “ansiolitica”, fatta più per avere un termine di riferimento, soprattutto di fronte alle manifeste preoccupazioni delle famiglie, e non basata su dati certi». Il rischio derivante da questa situazione, osserva il direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, è che essa possa essere da una parte considerata come una “vacanza” e dall’altra, al contrario, sfruttata per «cercare di trasferire totalmente in forma digitale quello che è un normale periodo di catechesi in parrocchia, lasciandosi prendere dalla frenesia delle attività, proponendo in continuazione spunti, preghiere, video, pagine da leggere o riempire, con il rischio di intrattenere più che educare».

La catechesi infatti — sottolinea la lettera — non è un’attività o una somma di attività, «ma una “relazione educativa nella fede”, una relazione di guida e fraternità con le persone che vi sono affidate». Pertanto, aggiunge don Andrea, «il tempo di isolamento imposto dalla pandemia deve essere interpretato come la chiave per avviare un processo di conversione ed evangelizzazione che duri negli anni. A prescindere dalle calamità e dalle epidemie, ogni due-tre anni tutti noi del mondo catechistico dovremmo fermarci per fare il punto della situazione e magari ripensare certe attività e strategie educative. Questa è un’occasione unica — ribadisce — per aiutare le persone a leggere con occhi cristiani questo tempo particolare: aiutarli ad ascoltare se stessi, il cuore, lo Spirito, rileggendo l’esperienza che vivono restando a casa; o aiutare qualcuno a imparare a pregare, a leggere la Scrittura o a fare gesti di semplice carità. Nel venir meno dell’ordinario abbiamo tutti tanto da scoprire del nostro rapporto con Dio», ancora più rinsaldato nei giorni che seguono a questa Pasqua, povera di liturgia e di segni della festa. «Ma è una Pasqua voluta per noi dal Signore», osserva don Andrea, in cui tutto il Paese, credenti e non credenti, hanno vissuto e stanno vivendo una lunga quaresima, un tempo austero fatto di privazione e angosce. «Siamo di fronte a un’esperienza collettiva mai vista prima, che coinvolge tutti indistintamente e da qui dobbiamo ripartire. Sarebbe davvero un peccato, come cristiani e come uomini, vivere questo tempo aspettando semplicemente che passi, nell’attesa di riprendere a vivere esattamente come facevamo prima».

di Rosario Capomasi