Da Tiziano a Caravaggio la bellezza dell’arte opposta alle brutture della peste

Le piaghe e il sublime

Tiziano, «La Pietà» (1575-1576, particolare)
24 aprile 2020

Anche il mondo dell’arte è stato segnato nei secoli dall’infuriare delle epidemie, costringendo gli artisti a rinchiudersi nella propria dimora per evitare il peggio. Ma il genio di alcuni artisti ha saputo tradurre in somma bellezza una realtà deturpante, fatta di pustole e piaghe. Da Rembrandt a Tiziano, da Caravaggio a Dürer, si è sviluppata una narrativa che rappresenta la testimonianza della strenua volontà dello spirito umano a non soccombere al male e, nello stesso tempo, dell’intima forza che innerva e anima la cultura se minacciata dalla natura e dalle sue perniciose manifestazioni. Nei Cavalieri dell’Apocalisse (1498) Albrecht Dürer, attraverso un disegno dal ritmo caotico e incalzante, rappresenta la Morte e i tre suoi sicari: la guerra, la carestia e la pestilenza. Il cavaliere con l’arco viene generalmente concepito dalla critica come il simbolo della pestilenza: la sua freccia, raffigurata nell’atto di essere scoccata, è espressione di un male che andrà a conficcarsi nel cuore di un’umanità protesa verso una fuga che viene resa vana dall’avanzare, impetuoso e inclemente, dei cavalli, sotto i cui zoccoli giacciono uomini e donne spaventati e prostrati. Nel mondo di Dürer, come scrive il critico d’arte Jonathan Jones, il sicario della morte più pericoloso e più temuto era proprio la pestilenza, perché subdola: non la vedi arrivare e non sai quando di preciso se ne andrà.

Nel 1575-1576 Tiziano compose La Pietà, in cui un anziano è colto mentre prega affinché suo figlio sopravviva all’epidemia. L’artista raffigura magistralmente quest’uomo in preda alla disperazione. Egli sa che solo l’aiuto divino potrà esaudire la sua accorata richiesta: gli uomini, che pur si credono potenti e onnipotenti, non ne sarebbero capaci. Il quadro fu realizzato quando Venezia venne devastata dalla peste. Una particolarità della tela è data dal fatto che Tiziano dipinge se stesso, nella figura mezza nuda posta ai piedi dell’immagine di Maria che tiene tra le sue braccia il Cristo morto. La figura malvestita e trasandata, in cui si identifica l’artista, sta a rappresentare la condizione dell’uomo gravato da un destino ostile, che ne inficia l’aspetto. Lui e l’anziano sono la sintesi del dolore di un’umanità che si dibatte tra i flutti della tempesta e annaspa nel tentativo di non affogare. Il Cristo morto veglia su di loro. Tiziano e suo figlio Orazio furono tra le vittime di quel terribile morbo.

La peste bubbonica che infuriò ad Amsterdam nel 1663 uccise Hendrickje Staffels, la compagna di Rembrandt, da lui profondamente amata. L’artista ne fece un ritratto in cui la bellezza della donna è soffusa di malinconia, rivelando un tratto crepuscolare che sta a esprimere il dolore di Rembrandt. Quel dolore, costante e straziante, che pervade le tele successive alla morte della donna: alcuni autoritratti di Rembrandt, infatti, con il loro carattere spento e dimesso, sono l’esemplare espressione di una sofferenza per una perdita inflitta all’artista da quella peste che cambiò per sempre la sua vita, gravandola di un incolmabile senso di vuoto.

Nel XVII secolo si verificarono in Italia pestilenze che colpirono numerose città, tra cui Firenze e Napoli. Tra gli aspetti drammatici di questa realtà figura la difficoltà, che spesso si traduceva in impossibilità, di dare alle vittime degna e dignitosa sepoltura. È lo stesso Boccaccio nel Decamerone a denunciare questo fatto: di notte i cadaveri venivano scaricati per le strade, durante la pestilenza abbattutasi su Firenze, e le prime luci dell’alba puntualmente mostravano i loro corpi, così da creare uno spettacolo triste e raccapricciante. Nelle Sette opere della misericordia (1607) Caravaggio rappresenta un uomo — all’interno di un’atmosfera cupa, quasi claustrofobica, e appena rischiarata dalla torcia tenuta da un prete — impegnato nell’atto pio e generoso di portare a sepoltura un cadavere. Il realismo caravaggesco anche in questo caso colpisce con la sua icastica evidenza e con la sua penetrante efficacia: da una specie di sudario fuoriescono i piedi della vittima. Si tratta di un particolare che dice tutto: fa intuire e al contempo chiarisce allo spettatore, che cerca di orientarsi nel buio del quadro, qual è il tema della tela e il dramma che in essa è rappresentato.

di Gabriele Nicolò