In sant’Anselmo d’Aosta

La teologia come contemplazione

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21 aprile 2020

Chi desidera fare teologia non può basarsi solo sull’intelligenza, ma deve compiere al tempo stesso una profonda esperienza di fede. A dirlo è uno dei teologi più celebri del Medioevo: Anselmo d’Aosta. Uomo di profonda spiritualità, è stato un itinerante, nel senso che ha travalicato i confini dei vari regni, principati, regioni linguistiche e organizzazioni sociali che caratterizzavano l’Europa del tempo. Dimostrando quanto il cristianesimo fosse il vero collante di tutto il “vecchio continente”. Anselmo è stato perciò un vero cittadino europeo ante litteram: partendo dalla sua città natale, Aosta, finì — attraverso un’esperienza monastica in Normandia — per diventare arcivescovo di Canterbury e quindi primate d’Inghilterra. Un santo venerato, infatti, non solo dai cattolici, ma anche dagli anglicani. Aveva un pensiero fisso: dimostrare che la ragione umana non è in opposizione alla fede, ma è uno strumento fondamentale per la speculazione teologica. Per questo, viene anche chiamato il “padre della Scolastica”, grazie alla sua ricerca, sviluppata nel Proslogion, di un unico principio immediato e fondato solo su sé stesso per dimostrare l’esistenza e gli attributi di Dio. Escogitò una formula, Credo ut intelligam (“Credo per capire”), con la quale sintetizza le sue ricerche. Il filosofo Immanuel Kant, nel XVIII secolo, chiamò questa dimostrazione la «prova ontologica dell’esistenza di Dio», anche se Anselmo non utilizzò questa espressione.

Nacque ad Aosta nel 1033 dal longobardo Gundulfo e dalla nobile borgognona Eremberga. A causa di conflitti con il padre, che non accettava si dedicasse a Dio, preferì allontanarsi da casa e si diresse all’abbazia di Notre-Dame du Bec in Normandia. Era stato attirato dalla fama di Lanfranco di Pavia che aveva fatto del cenobio un centro di studi rinomato. Arrivò nell’abbazia nel 1060 e tre anni dopo, alla partenza di Lanfranco, nominato abate di Saint-Étienne a Caen, diventò priore. In quegli anni si dedicò alla scrittura e allo studio. Nacque così nel 1076 il Monologion (“Soliloquio”), una meditazione filosofica con la quale cercò di spiegare non l’essenza ma l’esistenza di Dio. Negli anni immediatamente successivi, approfondì la speculazione filosofico-teologica nel Proslogion (“Colloquio”). Per dimostrarne l’esistenza, partì a posteriori dall’esperienza per arrivare a Dio. Il suo percorso fu dagli effetti alla causa.

Anselmo definisce Dio come «ciò di cui non si può pensare nulla di più grande» o «la cosa più grande». Nel mondo reale esiste la cosa più grande e poiché la cosa più grande è Dio, Dio esiste. Il metodo usato da Anselmo nella sua meditazione conferisce piena legittimità all’uso della dialettica nelle discussioni teologiche. Anselmo venne assorbito non solo dalle riflessioni teologiche, ma anche dagli eventi del suo tempo. La conquista del regno di Inghilterra nel 1066 da parte di Guglielmo, duca di Normandia, sconvolse i piani sia di Lanfranco, sia di Anselmo. Il nuovo sovrano, nel 1070, chiamò Lanfranco in Inghilterra per affidargli la cattedra di Canterbury. Fu primate d’Inghilterra fino alla morte nel 1089. Per quattro anni la cattedra rimase vacante, poi, nel 1093 il nuovo re Guglielmo ii, detto “il Rosso”, chiamò Anselmo quale nuovo arcivescovo. Purtroppo, sorsero contrasti tra lui e il sovrano, che ambiva a impossessarsi dei beni ecclesiastici e voleva campo libero per le investiture. Il nuovo arcivescovo si oppose fermamente. La rottura fu definitiva quando Anselmo decise di andare a Roma per farsi imporre il pallio arcivescovile dal Pontefice, nonostante Guglielmo ii glielo avesse vietato.

Rientrato in Italia, lo troviamo tra i padri del concilio di Bari del 1098 e di quello di Roma del 1099. Urbano ii gli affidò il compito di rispondere ai dubbi teologici dei vescovi italo-greci. Alla morte di Guglielmo ii, il successore Enrico richiamò Anselmo a Canterbury. Ben presto, però, si riaccesero i contrasti, perché il re voleva l’omaggio feudale da parte dell’arcivescovo, il quale riteneva invece un valore fondamentale la libertà della Chiesa dai poteri temporali. Nel 1103 riprese così la via dell’esilio e giunse a Roma da Pasquale ii. Nel 1106 si riconciliò definitivamente con Enrico e poté rientrare in Inghilterra. Infatti, il re rinunciò alla pretesa di conferire le investiture ecclesiastiche, alla riscossione delle tasse e alla confisca dei beni della Chiesa.

Anselmo dedicò gli ultimi anni della sua vita alla formazione morale del clero e alla ricerca intellettuale su argomenti teologici. Lasciò una grande eredità. L’attività del teologo, secondo Anselmo, si sviluppa in tre stadi: la fede, l’esperienza, e la vera  conoscenza, che non è mai frutto di asettici ragionamenti, ma di un’intuizione contemplativa. Morì il 21 aprile 1109, Mercoledì santo. San Tommaso Becket promosse la sua causa di canonizzazione e nel 1720 Clemente ix lo proclamò dottore della Chiesa. (nicola gori)