Una malattia sociale latinoamericana

La polarizzazione come peccato

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17 aprile 2020

Nel suo ultimo discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco, riferendosi soprattutto all’America Latina, ha posto l’accento su una malattia e/o peccato sociale attuale e crescente che possiamo chiamare “crepa”, “binarismo”, “riduzionismo” o, come lui stesso lo definisce, “polarizzazione”. Cito testualmente il Santo Padre: «Le polarizzazioni sempre più forti non aiutano a risolvere i veri e urgenti problemi dei cittadini, soprattutto dei più poveri e vulnerabili, né tantomeno può farlo la violenza, che per nessun motivo può essere adottata come strumento per affrontare le questioni politiche e sociali».

Le polarizzazioni non nascono in modo naturale, e tanto meno in modo ascendente, nella scala sociale. La necessità di dividere il pensiero, le persone, i settori sociali in maniera dicotomica generalmente proviene dalle alte sfere del potere e poi “scende”, come un’epidemia, fra tutta la popolazione. È il peccato della disintegrazione che cerca di accantonare idee e popoli e che è tristemente funzionale a diverse forme di violenza economica, sociale e politica. Si tratta dell’antica formula del fondamentalismo dell’odio che viene continuamente seminato nelle trincee dell’anima dei popoli per generare una guerra quasi impercettibile ma difficile da sradicare. L’odio sociale polarizzato è generatore di vecchi e nuovi mali che, come dice Papa Francesco nel citato discorso, produce «tensioni e insolite forme di violenza che acuiscono i conflitti sociali e generano gravi conseguenze socio-economiche e umanitarie».

Nei vangeli vediamo il Signore Gesù Cristo affrontare l’attacco delle polarizzazioni fondamentaliste quando cercano di coglierlo in fallo riguardo al pagamento dei tributi all’impero romano (cfr. Matteo, 22, 15-22). Il Signore non esita a smascherare l’inganno con parole dure ma precise: «Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: “Perché mi tentate, ipocriti?”». Questa citazione biblica fa riflettere e richiama la nostra attenzione sul ruolo di alcune espressioni religiose fondamentaliste che, attraverso il loro potere proselitista, cercano — molto spesso utilizzando simboli religiosi, per esaltarli o denigrarli — di seminare divisione tra i popoli. Come i farisei fondamentalisti dei racconti evangelici, finiscono col servire il potere politico imperiale e i suoi apparati di oppressione, propaganda e corruzione.

Ma il peccato della polarizzazione trova nei popoli, e soprattutto nei settori più umili e vulnerabili del nostro continente amerindio, la purificazione di una cultura dell’incontro inarrestabile e la saggezza di continui sforzi di convivenza pacifica, pluriculturale e multireligiosa. Questa malattia dell’odio, che minaccia di diventare una pandemia sociale autodistruttiva, trova nel dna dei nostri popoli gli anticorpi della bontà, della verità e fondamentalmente dell’amore senza finzioni.

Nel prendere molto seriamente le parole di Papa Francesco quando dice che, «in generale, i conflitti della regione americana, pur avendo radici diverse, sono accomunati dalle profonde disuguaglianze, dalle ingiustizie e dalla corruzione endemica, nonché dalle varie forme di povertà che offendono la dignità delle persone», non dobbiamo dimenticarci del suo invito alla speranza che mostra anche gli antidoti e la santità. Gli elementi polarizzanti del racconto evangelico, che hanno cercato di spingere lo stesso Figlio di Dio sul bordo della crepa, devono aver provato vergogna e ammirazione di fronte alla sua risposta. Al potere politico spetta ciò che gli compete: impegnarsi per ristabilire con urgenza una cultura del dialogo in vista del bene comune. Al potere religioso corrisponde dare a Dio ciò che gli appartiene: seminare amore e misericordia nelle trincee dell’anima delle persone e dei popoli fino a trasformarli in cammini agevoli dove la speranza può transitare e in terra fertile dove la giustizia può fiorire.

di Marcelo Figueroa