Racconto - La parola dell'anno

La Bellezza che unisce e guarisce

Pupi Avati nel suo studio
02 aprile 2020

In dialogo con Pupi Avati


Ieri 1° aprile il Santo Padre ha offerto la messa della mattina a Casa Santa Marta «per tutti coloro che lavorano nei media, che lavorano per comunicare, oggi, perché la gente non si trovi tanto isolata; per l’educazione dei bambini, l’informazione, per aiutare a sopportare questo tempo di chiusura». Ha così rimarcato il ruolo e la responsabilità degli operatori della comunicazione e dentro questa espressione ci sono tante persone e tanti mondi: l’educazione dei bambini, l’informazione, la letteratura, il cinema, la televisione... Emerge di nuovo l’importanza della narrazione, del racconto di storie che accompagnano la costruzione di una identità, personale e comunitaria come il Papa ha affermato lo scorso 24 gennaio nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (da qui l’iniziativa di questo quotidiano di dedicare uno spazio settimanale al racconto come “parola dell’anno” e anche quella che sotto il titolo La Bellezza ci unisce vede impegnati insieme i Musei Vaticani e Vatican News). Il popolo è una “categoria mitica” secondo Jorge Mario Bergoglio, nel senso che non è un’idea ma è e vive all’interno di un racconto. Raccontare non è solo lenire la solitudine e la sofferenza, e già non sarebbe poco, ma è anche lo strumento per l’edificazione di una comunità viva, che ha saldi radici nella memoria e capacità di visione di una direzione, di un destino. I testi (dal latino textum: “tessuto”) che vengono raccontati, le storie belle di cui ha sempre sete il cuore dell’uomo, contribuiscono a tessere rapporti, quei legami sociali che tengono insieme un popolo. Un popolo che oggi vive la prova dell’isolamento e della chiusura. È allora proprio questo il tempo di esercitare il ruolo di comunicatori con un senso ancora più forte della responsabilità, proprio per il bene comune, per la “salute” di questo popolo. Bene ha fatto su questi temi il regista Pupi Avati che ha scritto una toccante lettera spedita al «Corriere della Sera» il 27 marzo scorso in cui chiedeva ai comunicatori di approfittare di «questo tempo sospeso fra il reale e l’irreale, come in assenza di gravità», come di una «speciale opportunità per provare a far crescere culturalmente il paese stravolgendo davvero i vecchi parametri, contando sull’effetto terapeutico della bellezza». Molto interessante anche la risposta del presidente della Rai Marcello Foa in cui, accogliendo la proposta di Avati per un salto di qualità, ha osservato che «la cultura non può essere circoscritta a reti dedicate, ma deve attraversare tutta la produzione Rai attraverso una sensibilità diffusa (…) avendo cura di ogni fascia di età (…) con un’attenzione speciale verso la popolazione più fragile e più debole». È vero: la bellezza ha un effetto terapeutico e insieme, la cultura e la bellezza, non sono una pietanza che si può più o meno mangiare a fianco ad altre pietanze anche molto “importanti”, come la salute, l’economia, la politica... ma sono piuttosto un condimento, come il sale, come l’olio, che accompagnano ogni pietanza, ogni cibo, ogni momento e ogni ambiente della nostra esistenza, arricchendolo di colore, sapore, senso. Di questo sale abbiamo sempre bisogno e oggi più che mai, in questi giorni di chiusura forzata; sta a noi comunicatori il compito di fornire di questo sale e, prima di ancora, come ricorda il Vangelo, di esserlo.

di Andrea Monda