Su «La Civiltà Cattolica»

«L’opzione per il “Logos” nel pontificato di Francesco»

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16 aprile 2020

Anticipiamo stralci dall’articolo «L’opzione per il “Logos” nel Pontificato di Francesco» in uscita sul prossimo numero di «La Civiltà Cattolica» (18 aprile/2 maggio 2020).

Rivolgendosi ai membri del Parlamento europeo, il 25 novembre 2014, Papa Francesco è ricorso all’immagine suggerita dagli affreschi dipinti da Raffaello in una Stanza del Vaticano: la celebre Scuola di Atene, costituita da un incontro tra diversi filosofi pagani, dall’antichità greca fino all’epoca dell’apogeo musulmano, la cui presenza è indicata dal posto che vi occupa Averroè. Il Papa ha affermato che Platone, con il dito che punta verso il cielo, e Aristotele, che tende la mano verso la terra, «sono un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta dal continuo incontro tra cielo e terra». (Strasburgo, 25 novembre 2014. Su Raffaello e le Stanze del Vaticano, cfr. G. Pani, «Raffaello: luci e ombre nella vita di un genio», in «La Civiltà Cattolica» 2020 i 582-595).

Per la maggior parte dei pellegrini che contemplano questi affreschi situati nel cuore della Roma cattolica sembra ormai normale che il centro del cristianesimo romano abbia promosso la memoria di pagani quali Platone, Aristotele, o anche Averroè. Nelle comunità cristiane degli inizi non era evidente che la fede potesse integrare elementi di tradizioni pagane e potesse lasciarsi istruire da esse. In effetti, se Cristo porta a compimento la rivelazione iniziata dall’antica Alleanza, perché si dovrebbero ascoltare pagani come Aristotele o musulmani come Averroè? Non è sufficiente seguire Mosè, i profeti e gli apostoli che il Si-gnore ha scelto? Rispondendo a queste domande, Joseph Ratzinger sostiene che il cristianesimo ha adottato una «opzione fondamentale» per il logos. Questa scelta essenziale rende possibile una certa comunione tra il cristianesimo e le altre tradizioni filosofiche e religiose (pagane). Secondo il teologo tedesco, poi diventato Papa, nella misura in cui la “Chiesa primitiva” credette che il suo Dio e la sua fede fossero legati alla verità, i cristiani si sono schierati dalla parte dei filosofi che contestavano le religioni i cui miti non sarebbero che illusioni. La scelta per il logos, in opposizione al mythos, si traduce nella scelta «per il Dio dei filosofi e contro gli dèi delle religioni [quelli della mitologia greca dell’epoca]» (J. Ratzinger, La foi chrétienne hier et aujourd’hui, Paris, Cerf, 2005, 80).

Per quanto paradossale possa apparire, questa opzione, che a prima vista sembra condurre all’intransigenza, può portare anche al dialogo con culture che si sono sviluppate al di fuori della cornice della rivelazione cristiana. Infatti, essa reca una tensione che segna il cristianesimo nella pluralità delle sue concretizzazioni. Da una parte, questa opzione ha implicato il martirio di molti cristiani che rifiutavano categoricamente di rendere un culto — religioso e idolatra — all’imperatore, evitando così di considerarlo come un semidio. Dall’altra parte, è a partire da essa che alcuni pagani furono integrati nella tradizione cristiana: san Giustino, per esempio, definì «cristiano» persino Socrate, nella misura in cui questo filosofo greco fu fedele al logos non soltanto nella ricerca intellettuale della verità, ma anche per la sua condotta di vita e per la sua aspirazione al Bene supremo.

Alla base dell’opzione fondamentale per il logos c’è la dottrina degli spérmata tou Logou (“semi del Verbo”), che i Padri della Chiesa hanno teorizzato durante e dopo le persecuzioni iniziali inflitte dall’Impero romano ai cristiani. Tale dottrina sembra poter fondare una teologia delle religioni secondo la quale tutto il genere umano, e perfino l’intera creazione, contiene semi del Verbo: gli esseri umani sono partecipi della Verità di Dio, perché tutto è impregnato dei semi divini. Che «l’intero genere umano» riceva questi semi, che partecipi al Logos che è Cristo (cfr. D. Minns - P. Parvis [eds], Justin, Philosopher and Martyr: Apologies, Oxford, Oxford University Press, 2009, 198-201 [su i Apologia, 46,1-6]), Papa Francesco lo afferma esplicitamente in un’intervista rilasciata a p. Antonio Spadaro: «Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno» (in «La Civiltà Cattolica» 2013 III 470)

[...] L’era di Jorge Mario Bergoglio sulla cattedra di Pietro non è esente da polemiche. Infatti, a volte si assiste, all’interno della Chiesa, a uno scontro in merito alla posizione di questo Papa, in particolare riguardo alla pena di morte, alla tollerante vicinanza ai musulmani, per non parlare dei dubbi che sono stati sollevati a proposito dell’esortazione apostolica Amoris laetitia (cfr. P. Stagi, Francesco: pensieri e parole. Etica, società e politica, Roma, Castelvecchi, 2019, 15-17).

Il paradigma secondo cui Papa Francesco sembra pensare e agire può essere interpretato, a nostro avviso, come un modo di comprendere e di vivere la fede nel Dio legato al logos. Si tratta di un cammino che cerca la comunione senza annullare le differenze di vita, prospettive e tradizioni.

L’opzione per il logos in Francesco non rappresenta soltanto l’opzione della Chiesa primitiva per la filosofia, per la ragione univer-sale, ma anche il tentativo, da parte della stessa comunità ecclesiale, di suscitare una maggiore integrazione: «La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione» (Omelia nella Messa con i nuovi cardinali e il collegio cardinalizio, basilica Vaticana, 15 febbraio 2015).

È quindi una lettura della missione della Chiesa come promotrice della «cultura dell’incontro», a immagine di Gesù misericordioso. Basandosi sulla prospettiva di Benedetto XVI, riguardo alla fede in Dio da cui procede il Logos, Papa Francesco afferma: «Un [...] criterio ispiratore [...] è quello del dialogo a tutto campo: non come mero atteggiamento tattico, ma come esigenza intrinseca per fare esperienza comunitaria della gioia della Verità e per approfondirne il significato e le implicazioni pratiche. [...] Come ha sottolineato Papa Benedetto XVI, “la verità è ‘logos’ che crea ‘dia-logos’ e quindi comunicazione e comunione”. In questa luce, la Sapientia christiana, richiamandosi alla Gaudium et spes, invita a favorire il dialogo con i cristiani appartenenti alle altre Chiese e comunità ecclesiali e con coloro che aderiscono ad altre convinzioni religiose o umanistiche» (Id., Costituzione apostolica Veritatis gaudium, n. 4).

Citando la Caritas in veritate (Cv), n. 4, Francesco ricorre alla dottrina della presenza dei semi divini in tutta la creazione per indicare la possibilità di un dialogo tra la Chiesa e le altre tradizioni, anche non cristiane. Sembra quindi che egli, per quanto riguarda l’«opzione fondamentale», ne tragga soprattutto la conseguenza di un dialogo come luogo di incontro tra persone diverse, prospettive diverse e percorsi diversi.

Nel corso dei precedenti pontificati — in particolare, quelli di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI — l’opzione del cristianesimo per il logos si concentrava soprattutto sull’armonia tra fede e ragione. Papa Francesco sviluppa l’armonia fra i vari esseri umani, nella pluralità delle loro culture. Pertanto, più che dichiarare l’universalità della verità cristiana assoluta, applicabile a tutte le epoche e culture umane, egli cerca di rendere possibile la comunione tra culture o tradizioni diverse.

di Andreas Lind