La Grazia e i segni del «Deus absconditus» nel capolavoro di Tolkien

Il vangelo di Gollum

Gollum interpretato da Andy Serkis nella trilogia filmica di Peter Jackson dedicata alla saga «Il Signore degli Anelli»
28 aprile 2020

Pubblichiamo stralci della prefazione al libro «Tolkien e il vangelo di Gollum» di Ivano Sassanelli (Bari, Cacucci editore, 2020, pagine 550, euro 50).

Lo studioso barese [Ivano Sassanelli] con una felice intuizione, si tuffa, nel racconto tolkieniano, a partire dall’espressione evangelica di Luca 12, 34: «Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore», nella versione greca ancora più bella: «Dove infatti è il tesoro di voi, là anche il cuore di voi sarà» e nuotando dentro il tumultuoso e vasto mondo fantastico coglie il nesso fondativo del lavoro del docente-narratore: il collegamento inscindibile tra logopoiesi e mitopoiesi e il grande esame discernitivo del travagliato Gollum.

Ogni parola dell’epistolario uscito postumo e pubblicato dal figlio Christopher insieme a Humphrey Carpenter, quasi a specchio con lo Zibaldone leopardiano per i Canti del recanatese, viene a spiegare il fertile e audace lavorio che Ronald Tolkien ha utilizzato per dare senso e misura ai tre capolavori. (...)

La lettera 142 è indirizzata dal professore al suo amico padre Robert Murray s.j., nipote di Sir James Murray, fondatore del Dizionario. La missiva riportava un forte accento del gesuita su tre principali percorsi nel capolavoro: «positiva compatibilità con l’ordine della Grazia»; paragone tra Galadriel e la Vergine Maria; un giudizio profetico, sostenendo, a ragione, che i molti critici che si adoperassero a capire il libro «non troveranno una casella accuratamente etichettata in cui metterlo».

Ecco il ricco sguardo di questa monografia si delinea intorno ad alcune complesse questioni tolkieniane. La prima tesi di Murray, ovverosia la Grazia, viene vagliata con grande dovizia di confronti, indagini e con il sapiente uso dei testi dell’autore. Nella parte iniziale o Discorso su Tolkien, Sassanelli riesce a dimostrare, infatti, che per l’oxoniense è decisamente vera l’espressione latina semel catholicus, semper catholicus. La profondità della ricerca dimostra come il mondo mitopoietico nato e partorito sulla più raffinata e continua indagine filologica porta ad una sola affermazione: accanto a Dante e Manzoni, Tolkien è il più straordinario e fecondo raccontatore cristiano-cattolico.

Ora in pieno Novecento, quando l’affermazione nicciana “Dio è morto” aveva avuto piena conferma nelle due disastrose e impareggiabili guerre mondiali, la sua eucatastrofe, il trionfo del Dio fatto uomo, sconfitto sulla Croce e Risorto, assume una forza valoriale ancora più grande. Pensata e concepita da un fedele laico, redatta in una serie di testi narrativi, confermata dall’eco mondiale, soprattutto de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli, quindi suffragata da un popolo di oltre 150 milioni di lettori, l’eucatastrofe lascia il nostro critico meridionale esterrefatto, meravigliato, ma soprattutto avvinto dalla gioia, accanto al Maestro (…). A proposito dell’amore per il fraticello di Assisi e dell’afflato verso la nostra lingua, nella lettera 167 dell’epistolario, così scriveva nel 1955: «Sono ancora sbalordito degli affreschi di Assisi. Dovete venirli a vedere. Siamo arrivati durante la festa di santa Chiara alla vigilia dell’11-12 agosto. Santa Messa cantata dal cardinale Micara con trombe d’argento all’elevazione! Sto tenendo un diario. Sono innamorato dell’italiano, e mi sento abbandonato senza la possibilità di cercare di parlarlo! Dobbiamo continuare a studiarlo».

È inutile dire che Papa Francesco lega la stima e le citazioni per Tolkien ad una lettura in cui si coglie la presenza di Francesco d’Assisi con quella d’Ignazio di Loyola: Cantico ed Esercizi spirituali. Pare proprio difficile, quasi impossibile sostenere che il grande narratore abbia scritto il tutto senza voler evidenziare la sua grande fede e carità ispirativa e questo contributo del canonista barese lo spiega benissimo nel capitolo d’esordio del libro primo, ritornando poi con nuove riflessioni, in tutto lo svolgimento.

Il paragone fra Galadriel e la Madonna non appare all’autore convincente, o gli sembra forzato, poiché l’allegoria non era nelle corde dello scrittore inglese. Tutto il lavoro conferma che lo sforzo del narratore spinga a intravvedere il digitus Dei, ma ancor più il Deus absconditus, e il terzo capitolo della prima parte lo mostra con dovizia di affermazioni e riflessioni idonee.

La terza affermazione di Padre Murray trova eco in ogni pagina del testo esaminato. Infatti si riscontra una grande e pregevole apertura conciliare e del Novecento più vero nei confronti dell’autentico esame discernitivo: vetera et nova s’innestano a perfezione nell’intreccio narratologico.

Tolkien, e con lui il Sassanelli, avvertono che le domande offerte dagli Hobbit e dal loro viaggio misterioso verso il Monte Giudizio, Mount Doom in inglese, sono molto di più delle risposte che egli intende offrirci; il tempo prevale sì sullo spazio, ma le sue pregevoli mappe illustrative ci hanno regalato uno scenario di grande bellezza e, ancora una volta il filologo, l’incantatore di grandi e adolescenti, subcrea, incrociando la parola poetica con la Parola del Creatore.

Il lettore, perciò, può comprendere come il grande impianto linguistico abbia supportato la narrazione, venendo a sua volta rilanciata e ricreata, direi restaurata al suo valore fondativo e primigenio.

di Vito Fascina