Racconto - La parola dell'anno

Il rischio come atto spirituale e letterario

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09 aprile 2020

Nel poliedro dell’ultimo libro di Colum McCann, che intreccia il lutto di due padri al mistero del tempo


Allo scrittore irlandese Colum McCann piace correre rischi. Rischi sia letterari sia politici. Georges Bernanos, uno dei grandi autori cattolici del XX secolo, nel Diario di un curato di campagna ha scritto «compresi che la gioventù è un rischio da correre e che il Signore non voleva che morissi senza capire qualcosa di questo rischio». Ritengo che lo stesso si possa e si debba dire dell’arte, della stesura di libri e della narrazione in generale. Perché scrivere una storia, un romanzo, se non intendiamo correre un rischio, formalmente e materialmente? Perché avere fiducia in un genere antico se non cerchiamo di innovarlo? Di scuotere le forme antiche e fare spazio a quelle nuove, perigliose, rinvigorite?

Il nuovo libro di Colum McCann, Apeirogon, a Novel (New York, Random House, 2020, pagine 480) fa proprio questo: innova il genere e riapre il romanzo, in controcorrente rispetto ai tempi, alle esperienze e alla sofferenza altrui. L’apeirogon è un solido con una sequenza infinita numerabile di lati. E questo romanzo narra le sue storie intrecciate, e in un certo senso, racconta di nuovo tutta la storia, in una sequenza infinita numerabile di frammenti. Nella sua essenza, il romanzo tratta dell’amicizia tra Rami Elhanan, un ebreo israeliano, e Bassam Aramin, un musulmano palestinese, i quali perdono entrambi le loro figlie a causa di un atto di violenza estrema in Terra Santa. La tredicenne Smadar Elhanan si trovava per caso in Ben Yehuda Street a Gerusalemme, nel 1994, quando tre palestinesi si sono fatti esplodere in un tratto di strada affollato. Nel 2004, Abir Aramin, di dieci anni, è stata colpita alla nuca da un proiettile di gomma sparato da un giovane soldato israeliano seduto su una jeep. La clinica in cui è stata portata Abir non disponeva di apparecchiature mediche, così è stata trasportata a Gerusalemme. L’ambulanza è stata trattenuta a un checkpoint, per ore, e lei è morta nell’ospedale Hadassah di Gerusalemme.

«Continuo a stare seduto in quell’ambulanza ogni giorno — dice Bassam — Continuo ad aspettare che si muova. Ogni giorno viene uccisa di nuovo e ogni giorno io sto seduto nell’ambulanza a volere che si muova, ti prego muoviti, ti prego ti prego ti prego, vai, perché stai ferma qui, andiamo». Rami replica, per così dire, in un altro capitolo: «Ti ritrovi a correre nelle strade, dentro e fuori da negozi, dal caffè, dalla gelateria, cercando di trovare tua figlia, la tua bambina, la tua principessa, ma è svanita. Vai da un ospedale all’altro, da una stazione di polizia all’altra. Lo fai per molte lunghe ore finché alla fine, a notte fonda, tu e tua moglie vi ritrovate nell’obitorio».

Nonostante la natura profondamente politica del contesto, oserei dire che Apeirogon non è una narrativa politica. In primo luogo, il romanzo è un gesto d’amore, l’amore tra due uomini e le loro famiglie; ed è un gesto di ascolto elevato ad atto di amore. McCann ha ascoltato con attenzione ognuna delle storie e ha restituito loro sulla carta il loro cuore umano. Strada facendo, il romanzo diventa un caleidoscopio di storia, geografia, mito e tempo. I capitoli scorrono tra ere e luoghi e argomenti, collegando abilmente (talvolta quasi magicamente) temi che spaziano dalla migrazione degli uccelli alle prime esplorazioni del Mar Morto e all’olocausto nucleare. Vengono evocati Borges e John Cage, viene riportato in vita un concerto a Theresienstadt, come anche la camminata di Philippe Petit sul filo teso sopra la Hinnom Valley, e la crocifissione di Gesù. I capitoli salgono da 1 a 500, poi scendono da 500 a 1, con il capitolo 1.001 collocato al centro. I due capitoli 500 raccontano le storie di Rami e Bassam direttamente e in prima persona.

«Un tempo pensavo che non avremmo mai potuto risolvere il nostro conflitto — dice Bassam — avremmo continuato a odiarci per sempre, ma non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo continuare a ucciderci. L’eroe fa del suo nemico un amico. Quando hanno ucciso mia figlia hanno ucciso la mia paura. Non ho paura. Adesso posso fare qualsiasi cosa». Continua Rami: «Ho incominciato a pensare che mi ero imbattuto nella domanda più importante di tutte: Che cosa puoi fare tu, personalmente, per cercare di risparmiare agli altri questo dolore irragionevole?».

Con la sua chiave principale nella storia, Apeirogon è anche una poesia sul tempo, sulla natura sincrona e misteriosa del tempo. Ne Le mille e una notte un poeta scrive: «Viviamo in un tempo biologico e abbiamo un inizio, un centro e una fine». Ma McCann sembra rispondere come se incanalasse un altro grande irlandese, il poeta Seamus Heaney: «Da quando (…) il primo e l’ultimo verso di una poesia sono dove la poesia inizia e dove finisce?».

di Lila Azam Zanganeh