Creatività è prossimità
Il passo indietro di Nick Cave

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03 aprile 2020

«Essere creativi significa essere vicini al prossimo». Non sono parole di Papa Francesco (anche se potrebbero esserlo tranquillamente) ma della rockstar Nick Cave. Oggi, di fronte alla “catastrofe”, il vero lavoro creativo secondo il sessantatreenne cantautore australiano è scrivere e-mail agli amici lontani, telefonare ai parenti, dire una parola gentile al vicino di casa, pregare per chi è in prima linea. Questi semplici gesti possono migliorare i legami fra le persone «così quando usciremo da questa situazione saremo uniti da compassione, umiltà, dignità. Forse, vedremo il mondo con occhi nuovi e con un rinnovato rispetto nei suoi confronti. Ecco quale potrebbe essere, effettivamente, il vero lavoro creativo».

Sul suo blog personale, Red Hand Files, sul quale risponde personalmente alle lettere dei fan, Cave ha sviluppato la seguente riflessione che ha fatto subito il giro del mondo e che voglio ripresentare così com’è, senza ulteriori commenti. Rispondendo alle domande di chi gli chiedeva se progettava di fare dirette streaming o performance sui social come tanti suoi colleghi, la rockstar, che a giugno avrebbe portato il suo tour in Italia, ha risposto: «Creare è il mio modo di reagire alle crisi. È un impulso che mi ha salvato mille volte. Quando le cose si mettevano male pianificavo un tour oppure scrivevo un libro o facevo un disco. Il lavoro era un rifugio che serviva a non abbattermi». Ma questo valeva per il passato, ora le cose sono cambiate: «Ogni giorno riceviamo notizie che ci stordiscono e che solo qualche settimana fa sarebbero state impensabili. Quel che un mese fa ci faceva uscire di testa e ci divideva ora ci imbarazza come il ricordo di un periodo di frivolezza e vizio. Siamo testimoni oculari di una catastrofe. Eccoci costretti ad isolarci, a restare vigili, a stare in silenzio, a guardare e contemplare in tempo reale la possibilità che la nostra civiltà imploda. Quando sarà tutto finito avremo scoperto cose sui nostri leader, sulla società, sugli amici, sui nemici e soprattutto su noi stessi. Sapremo qualcosa della nostra resilienza, della nostra capacità di perdonare, della nostra vulnerabilità. Forse è il momento di essere consapevoli e attenti. Improvvisamente, scrivere un romanzo, una sceneggiatura o delle canzoni sembrano atti di autoindulgenza appartenenti a un’epoca passata. Non è il momento di nascondersi nel processo creativo. È il momento di fare un passo indietro e sfruttare questa opportunità per riflettere su quale sia esattamente la nostra funzione: a cosa serviamo noialtri artisti».

di Andrea Monda