Aspettando la Pasqua

Covid-19: Dov’è Dio?

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07 aprile 2020

Dal sito internet dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (www.oessh.va) riprendiamo questa meditazione del cardinale Gran Maestro.

In questa pandemia (Covid-19), che ha mutato i nostri piani di vita, ha scosso le nostre certezze costruite sistematicamente e scientificamente, che scuote il mondo con le sue scene drammatiche di morti, di contagiati, di isolamento forzato, di relazioni interrotte, di lavoro in crisi e ha fatto vedere i limiti dei nostri quasi infallibili algoritmi, ci domandiamo: come è stato possibile che sia sfuggita di mano? Cosa non ha funzionato? Cosa fare o non fare? Quanto durerà? Quanti moriranno?

Si esprime paura, rancore, dolore, speranza; compiamo riti, gesti di generosità; esprimiamo bisogni, curiamo, seppelliamo, cremiamo; ma in tutto questo, Dio dov’è?

Sembra che anche la preghiera non abbia risposta. Dio ascolta? E perché accade tutto questo? È per qualche nostra deficienza che non riusciamo a trovare una risposta?

Ci manca la “chiave di volta” che chiude l’artefatto, il cielo dell’edificio, l’arco di un ponte con il rischio che tutto crolli, che tutto sia stato inutile. Dio dov’è? Ritorna continuamente lo stesso intimo e profondo interrogativo.

Il mea culpa è un rito, un atto indotto da circostanze incontrollabili? È frutto o conseguenza di un nostro errato operare? La domanda, “Dio dov’è?”: è superflua o inutile? E Dio c’entra o non c’entra in tutto questo?

Ha dunque senso il chiederci: Dio dov’è? Quali risposte abbiamo? Ne esistono? Gli algoritmi? Anch’essi rimandano ancora ad altri algoritmi.

La finitudine ci porta a non avere una risposta, che, di per sé, è esistenziale. Come per il biblico Giobbe. Le risposte sono per quesiti concreti. Se così fosse, non ci resta che il vuoto senza risposta.

A meno di non alzare lo sguardo, non per avere una rispostina sul caso da soluzionare, ma per conoscere: se Dio non c’è o non ha un posto in questa crisi, tutto è chiuso nella finitudine del fluire? Se Dio c’è, riconosco non il bisogno di una risposta, bensì di un “rimettere”.

Il «Tutto è compiuto!» di Cristo sulla croce è una “remissione” («E chinato il capo rimise lo spirito» [Gv 19, 30]) al Padre, al quale egli definitivamente si appella per quel mysterium vitae che lo aveva portato sulla terra come parte vivente di essa.

La paternità (di Dio) non esclude i limiti che Dio stesso si era imposto nella sua “paternità”.

Allora la questione torna a noi. Non per interrogarci e cercare ancora il senso di una risposta inattendibile, bensì per avere il senso di un comportamento, contro ogni ulteriore tentazione: o vivere come se Dio non esistesse, o scaricare sulla punizione divina il tutto come parte penitenziale; in alternativa, non resta che “rimettere” ancora tutto a Dio, accettando che in questo «tempo dell’uomo», l’oggi, non si escluda l’atto di remissione fiduciosa: «Nelle tue mani, Padre, rimetto il mio spirito»; dove tutto si conclude: «Detto questo spirò» (Lc 23, 46).

La pacificazione dell’animo è nel ritornare alla pace iniziale da cui tutto è partito: il “nulla” o “Dio”. Se dal nulla viene il nulla, non resta che Dio. C’è un posto per Dio, ma esso è racchiuso nel mysterium vitae.

Il bene fatto, però, resta. Il suo credito rimane inestinguibile. Il bene ci appartiene e questo ha un senso; ma il credito, che è di ordine morale e spirituale, passa nelle mani di Dio. Il bene non si estingue.

Nel sepolcro vuoto di Cristo, c’è il vuoto delle nostre aspettative, non il vuoto di Dio. Nel silenzio, c’è il silenzio della risposta attesa, non il silenzio di Dio.

Aspettando la Pasqua!

di Fernando Filoni