Per una rilettura al femminile

Chiesa a due voci

Rabindranath Tagore, «Man and Woman» (prima del 1941)
27 aprile 2020

Un recente scritto di Pierangelo Sequeri (Francesco, un magistero in parabole, in AA.VV, Profezia di Francesco. Traiettorie di un pontificato, Edb, Bologna 2020, pagine 27-43) interpella a riprenderne alcune considerazioni fondamentali, sviluppandole a partire da una peculiare ottica femminile che intende proporsi come un contributo per la vita e la missione della Chiesa. Il testo di Sequeri è molto denso e numerosi concetti meriterebbero di essere approfonditi e discussi, ma qui ci si vuole soffermare solo su due di essi che, centrali nell’argomentazione dell’autore, richiamano in modo particolare l’attenzione delle donne, stimolandole a fornire il personale contributo.

Riguardo al primo concetto, il filo conduttore che si vuole seguire prende avvio da una centrale constatazione: Francesco parla in parabole. L’adozione di questo stile colloca immediatamente fuori dall’usuale impostazione sistematica della teologia, in cui tutto è definito fin nei minimi particolari, ma, ancora prima, presenta una cruciale implicazione. Essa consiste nel fatto che, con la parabola, non è detto tutto e il discorso attende di essere completato dal destinatario che, in tal modo, diviene un interlocutore, non più passivo, ma attivamente coinvolto: «Ci troviamo, dunque, davanti al compito di costruire insieme la parola della Chiesa» (pagina 30).

In altri termini, la parabola richiede di essere portata a compimento e interpretata e, mentre ciò, da una parte, può condurre facilmente a un conflitto delle interpretazioni, dall’altra arricchisce il testo consentendogli di recepire apporti che, altrimenti, non avrebbero trovato spazio.

Come si è detto inizialmente, in questa situazione ci si trova a essere immediatamente interpellate in quanto donne nella Chiesa, poiché la nostra lettura della parabola e la sua interpretazione, muovendo da una sensibilità differente rispetto a quella maschile, sono certamente diverse e non sovrapponibili. La voce delle donne credenti diviene, così, un apporto indispensabile per la costruzione del messaggio della Chiesa ed esse si trovano davanti a un compito ineludibile al quale sono chiamate in virtù del loro battesimo.

Affinché possa darsi questo apporto delle donne, si rendono necessarie due condizioni che chiamano in causa rispettivamente gli uomini e le donne stesse, poiché, da un lato, la loro parola deve essere riconosciuta nella sua autorevolezza e pari dignità e, dall’altro, esse devono acquisire consapevolezza della propria soggettualità che non le configura come passive destinatarie nel discepolato di uguali.

Il secondo concetto, poi, innestandosi su precedenti argomentazioni, trova esplicitamente spazio nelle ultime due pagine del testo di Sequeri ed è quello che «chiede la riabilitazione della qualità personale del carisma della fede di ciascuno» (pagina 42). Il tema è sicuramente di importanza fondamentale sia per gli uomini sia per le donne, poiché con questa affermazione si chiede che ognuno sappia riscoprire la ricchezza del dono ricevuto per metterlo a disposizione della missione della Chiesa, con i personali limiti, ma anche con il proprio insostituibile contributo.

La concretezza dell’esistenza è, in tal modo, posta in primo piano e «il ministero ecclesiastico emerge con l’incoraggiamento a ridiventare istituzionalmente carismatico» (pagina 43), superando fratture, antiche, ma rinnovate, tra istituzione e carisma. Anche a questo proposito, le donne sono direttamente interpellate, su di un duplice livello perché, in primo luogo, il carisma femminile è sicuramente differente da quello maschile e a esse spetta il compito di riconoscerlo, valorizzarlo e porlo al servizio della missione della Chiesa.

In seconda istanza, poi, quando si parla di carisma personale, le donne non possono essere assunte sotto un astratto ideale di femminilità, ma ognuna è portatrice di un dono peculiare che deve scoprire e saper fare fruttificare, anche tenendo conto delle diversità dei contesti ecclesiali e socio-culturali, come Francesco ricorda in Querida Amazonia. In questa esortazione apostolica postsinodale, infatti, emergono delle immagini di donne che, non solo sono ovviamente differenti dagli uomini, ma che sono anche profondamente diverse da quelle della parte del pianeta in cui noi viviamo e pensiamo. Se queste donne potranno trovare ascolto nella Chiesa, il loro completamento della parabola e la loro interpretazione costituiranno sicuramente un “inedito” di cui altrimenti la comunità ecclesiale sarebbe privata.

Non si può, poi, non pensare al diverso carisma di cui sono portatrici le donne laiche, nubili o sposate, e quelle consacrate, considerando per queste ultime anche l’appartenenza a un ordine di vita contemplativa o apostolica. Quello della diversità tra donne è un tema al quale anche la riflessione femminista presta molta attenzione, ma nella Chiesa esso è particolarmente rilevante per la presenza sia di laiche sia di consacrate, nel momento in cui né le prime né le seconde esauriscono da sole tutta la forza che promana dal femminile. È, così, posta in primo piano l’accettazione della parzialità, ovvero del limite da cui ciascuno è segnato, ma proprio da questo potrà nascere una nuova ricchezza fondata sulla condivisione e le donne sono chiamate, in quest’ottica, a divenire sempre di più soggetti attivi e responsabili in una Chiesa che non può parlare con una sola voce, ma che ha bisogno delle due voci, degli uomini e delle donne.

Anche in questo riconoscimento della parzialità le donne potranno essere di aiuto per uomini che storicamente non sono abituati a considerare se stessi come una parte dell’umanità, ma come l’“umanità” nella sua completezza e perfezione. In tal modo, la Chiesa potrà proclamare un annuncio più articolato e più corrispondente a un mondo in cui la molteplicità e la diversità prevalgono sull’uniformità, aprendo delle strade nelle quali ciascuno possa trovare lo spazio per un proprio personale percorso e per un irripetibile cammino di fede.

di Giorgia Salatiello