La guerra secondo l’adolescente Guido in «Felici di crescere» di Lorenzo Mondo

Tra chi morde e chi carezza

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27 marzo 2020

«“Devi essere grato a tuo zio che ti ha trovato un posto da noi. Di questi tempi, poi”. All’uscita dalla messa in cappella, Guido ascolta le parole del rettore, pronunciate con melliflua gravità. Vorrebbero essere confortevoli ma calcano incautamente sul privilegio di cui gode per essere stato accolto al Collegio. Risponde piegando il capo in un macchinale gesto di assenso. Il gesto non è rivolto a quel prete grassoccio dalla pelle lustra, dalla generosa calvizie. Non risponde alla sua esortazione ma ai pensieri che gli fanno groppo in gola. Don Arturo non sa capire la sua vergogna».

È tempo di guerra. Con il padre rimasto a Torino a lavorare e la madre sfollata al paese dei nonni, grazie all’intercessione dello zio monsignore, Guido viene mandato in una città di provincia, lontana dalla guerra, perché non interrompa la terza media. Ospitato in un orfanotrofio, il ragazzino esce ogni giorno per frequentare la scuola pubblica, «un lindo edificio a fasce bianche e rosse in stile littorio». Ma che si tratti del posto in cui dorme e vive o di quello in cui studia, Guido — protagonista di Felici di crescere di Lorenzo Mondo (Palermo, Sellerio 2020, pagine 176, euro 13) — si trova fuori fuoco. Perché Guido si sente diverso da tutti. Alieni i compagni di scuola (di famiglie «assestate e serene»), alieni i collegiali (per lo più trovatelli), estraneo a quella città in cui ha trovato solo «umiliazione e fame». Guido si sente capito soltanto da Amilcare, che fa la guardia al portone.

La soluzione di fuggire appare così la più inevitabile al ragazzo di Torino, che già lungo la strada respira un clima di avventura e di libertà. E nella nuova comunità che lo accoglie con estrema naturalezza, a Guido sembrerà di vivere un’esistenza nuova.

Eppure anche qui molto appare contraddittorio. È sempre un mondo in cui c’è «chi ti morde e chi ti carezza»; un mondo che sta cambiando (nella madre, ad esempio, «era in atto una trasformazione profonda di quella che era stata una donna di città») lungo direzioni non sempre lineari, complice la grande Storia e la sua storia personale. Vive la guerra, i partigiani, i tedeschi, ed è testimone tanto delle spietate rappresaglie nazifasciste che della guerriglia partigiana. Vive una tenera storia d’amore tra adolescenti, che gli dà forza e gli toglie energia.

Osserva, Guido. Osserva le donne che, con la guerra, si sentono parte di una «donnesca comunità», senza intrusioni e vessazioni maschili; osserva la zia che gli consiglia i libri; osserva gli uomini che sono rimasti, e quelli che tornano; osserva i giovani. Restando soprattutto colpito da quella che non sa essere una legge tristemente universale, e che ci interroga anche oggi, perché nella tragedia «la gente, quella almeno che non è stata colpita nel proprio sangue, si sente al riparo dalle maggiori calamità». E osservando, Guido si fa domande, tante domande «in un mondo che si è fatto così confuso e insicuro».

I luoghi e le atmosfere, probabilmente autobiografiche, in cui Lorenzo Mondo — scrittore, giornalista e critico letterario nato a Torino nel 1931 — conduce il lettore, senza retorica ma con immagini essenziali, chiare eppur poetiche, sono i luoghi di Beppe Fenoglio e Cesare Pavese (di cui Mondo è riconosciuto biografo: con Quell’antico ragazzo. Vita di Cesare Pavese ha vinto il premio Grinzane Cavour nel 2006).

Un racconto di formazione secco e stringato, senza melassa e senza eroismi: la guerra, i dolori e la morte visti dagli occhi adolescenti di Guido. Occhi che, finito il conflitto, riescono a rivolgere lo sguardo oltre, senza nubi, al domani. «Anche quello che dobbiamo affrontare d’ora in poi è un’avventura. Per fortuna senza spari e senza sangue. Ma tutta nostra».

di Silvia Gusmano