Morti in pochi giorni dodici saveriani italiani che hanno speso la loro vita in missione

Testimoni di speranza

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25 marzo 2020

A 22 anni Giuseppe Scintu, giovane di belle speranze, aveva lasciato la sua Sardegna e una fiorente impresa edilizia per ascoltare la chiamata di Dio e diventare missionario saveriano. Sei anni dopo era andato in Congo dove, mettendo a frutto il talento da muratore, ha costruito edifici, case, scuole, cappelle. Ora il coronavirus lo ha colpito a morte, a 85 anni, in quel di Parma. Scintu è uno dei dodici missionari italiani, membri della congregazione fondata nel 1895 da san Guido Maria Conforti, che hanno perso la vita nelle ultime tre settimane. Dieci di essi erano nella Casa madre dei missionari saveriani, nella città ducale. La casa è il fulcro di quella famiglia religiosa missionaria: ospita il santuario intitolato al fondatore, vescovo parmense dei primi del Novecento, che ne custodisce le spoglie mortali; il museo d’arte cinese ed etnografico; la biblioteca e uno speciale itinerario che racconta memorie e testimonianze missionarie. All’ultimo piano del maestoso edificio dalle forme neoromaniche, c’è anche una residenza per accogliere i missionari più anziani, tornati in patria dopo anni trascorsi in Asia, Africa o America Latina: sono a volte malati, debilitati e fragili, dopo aver speso l’intera esistenza a servizio di popoli in terre lontane.

In quella residenza la serie ravvicinata di dieci decessi di missionari fra i 73 e i 92 anni, con febbre e sintomi di malattie respiratorie, ha fatto scattare l’allarme per il probabile contagio del covid-19. Anche perché si è avuta la conferma di una dipendente di quella residenza trovata positiva al virus. E sebbene solo un missionario deceduto sia stato sottoposto al tampone (se ne attende l’esito), «l’improvviso picco di mortalità — ha spiegato padre Rosario Giannattasio, superiore dei saveriani per l’Italia — fa pensare inevitabilmente a un legame col coronavirus». Le aree comuni sono state prontamente sanificate e i missionari presenti nell’intera Casa madre (una sessantina di religiosi, in gran parte anziani, oltre a una quindicina di giovani nella vicina palazzina, destinata allo studentato) sono in rigida quarantena. I padri cercano di restare chiusi nelle proprie camere, riducendo al minimo la vita comunitaria. «Si vive una situazione di attesa, tra speranza e paura, illuminati dalla fede», nota Giannattasio.

È quella stessa fede che ha animato la vita di quanti, da sacerdoti o semplici religiosi, «hanno donato la loro vita in nome dell’annuncio del Vangelo ad gentes e che ora il Signore ha chiamato a sé, in Paradiso», rileva, parlando con «L’Osservatore Romano», il vicario generale della congregazione, padre Mario Carmelo Mula, ricordando l’opera instancabile dei missionari saveriani scomparsi. Fra loro, Stefano Coronese era stato in Indonesia, nelle isole Mentawai, a poca distanza da Sumatra, dove la missione dei religiosi va avanti in un ambiente sociale islamico, seme di dialogo e segno di pacifica convivenza, in nome del Vangelo. In servizio nell’arcipelago asiatico era stato anche Corrado Stradiotto poi distintosi, una volta rientrato in Italia, come amministratore oculato dei beni della congregazione. In Estremo oriente pure la missione di Vittorio Ferrari, che aveva prestato servizio in Giappone, dove i saveriani animano ventiquattro centri pastorali, impegnati nel primo annuncio del Vangelo e nella carità.

Dall’altra parte del mondo, in Brasile, portavano la loro appassionata testimonianza di fede e carità Luigi Masseroni e Nicola Masi: si erano immersi nella realtà amazzonica con quello spirito tipico dei missionari che danno tutto, senza risparmiarsi, nella condivisione della vita con gli oppressi e gli ultimi.

Folta la pattuglia di quanti avevano donato il cuore, la mente e le forze all’Africa: fra essi Gerardo Caglioni — 73 anni, il più giovane tra le vittime — e Pilade Rossini avevano operato in Sierra Leone dove i saveriani festeggiano, proprio nel 2020, i settant’anni di presenza. «Questi anni sono il nostro lavoro e la nostra fatica, ma anche tutta la nostra gioia. Li presentiamo a te, Padre, perché li benedica e diventino così vita per questa porzione di Africa a noi tanto cara», aveva scritto padre Caglioni. Il gruppo più numeroso è costituito da missionari che avevano speso la vita nell’attuale Repubblica Democratica del Congo, specialmente nella regione del Kivu: area al centro di quella che viene definita “la guerra mondiale africana”, infestata da milizie ma anche da epidemie di un virus letale come l’ebola. Si tratta di Piermario Tassi, Giuseppe Rizzi, raggiunto dalla cecità durante quel servizio, Gugliemo Saderi e Giuseppe Scintu. Infine, tra i dodici, c’era un “missionario in Italia”, ovvero Enrico Di Nicolò che, su richiesta dei suoi superiori, aveva messo i suoi studi classici a disposizione della congregazione, dedicandosi all’insegnamento e alla formazione dei giovani.

«Oggi proviamo dolore e tristezza. Come famiglia missionaria, siamo colpiti al cuore. Ricordiamo con gratitudine tutti i nostri confratelli che hanno donato la vita per il Vangelo e per la popolazione del Congo», ci dice il saveriano congolese Fabien Kalehezo, consigliere generale dell’istituto. «Pur nella sofferenza, viviamo questo tempo con fede e con speranza: siamo certi della vicinanza e della misericordia di Dio, che non ci abbandona», prosegue. «La fede ci dà forza e ci sorregge: sappiamo che dopo il buio c’è l’alba della risurrezione», argomenta padre Kalehezo, ricordando che tutti i saveriani nel mondo — più di settecento membri sparsi in venti paesi — sono spiritualmente vicini alla situazione che si vive alla Casa madre di Parma e a tutta l’Italia».

Ringrazia i confratelli, che «con dedizione quotidiana restano ad assistere gli anziani», il superiore generale, padre Fernando García Rodríguez, che ha rassicurato tutti i missionari nel mondo con un videomessaggio. E, riferendosi ai religiosi deceduti, ha detto: «Il Signore ricompensi l’offerta della loro vita per la missione di Cristo». Seguendo il loro esempio, conclude il vicario generale, padre Mula, «restiamo immersi in questa storia, vivendo e soffrendo con l’umanità ferita. In questo momento di prova sono vive le parole e lo spirito del nostro fondatore Conforti che così definiva la nostra missione: fare del mondo una famiglia. Vogliamo condividere la vita con chi è povero, malato, solo. Siamo lì, testimoni di speranza. Questo è il Vangelo».

di Paolo Affatato