· Ascoltando Bruce Springsteen ·

Tagliare il cordone ombelicale

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23 marzo 2020

«Avevo quindici anni la prima volta che ho sentito e visto Born In The U.S.A. di Bruce Springsteen. Ero un ragazzino goffo e timido». Così ricorda Luca Miele l’incontro con Bruce Springsteen, mentre discutiamo del suo nuovo libro Mio padre odiava il rock’n’roll pubblicato per Arcana (Roma, 2020, pagine 111, euro 13).

Quel video sprigionava forza e potenza e ne fu catturato. Nel racconto scrive che Born in The U.S.A. è una dichiarazione di guerra allo stato puro, è l’urlo di Bruce contro il suo Paese, contro suo padre, contro i padri, perché è un uomo in guerra con se stesso. Luca è come lui. L’attaccamento alla musica di Springsteen dunque è viscerale, dura da quarant’anni circa.

 

Il libro narra del “tradimento” di un figlio inquieto che ascoltava canzoni che al padre non piacevano. La musica scelta dagli adolescenti si contrappone quasi sempre al gusto dei genitori. Uno shock necessario per affrancarsi dalla famiglia e crescere in modo indipendente. La storia lo insegna.

Nel dopoguerra c’erano i baby boomer ridefiniti dai Beatles. Poi arrivarono i Rockabilly, i Mod e i Punk con una corrispondenza musicale violenta, giudicata autodistruttiva. L’utopia lisergica dei Figli dei Fiori durò appena una stagione, mentre il rock grezzo della Generazione x fu tacciato di satanismo. Più vicino ai giorni nostri ci sono i giovani chiamati “millennial” o Generazione y, con la musica digitale incorporata nel telefonino. Ora è il turno della Generazione z che preferisce la Trap, musica odiata dagli educatori e che spaventa gli insegnanti. Tutti tagliano il cordone ombelicale con le figure parentali. Un figlio abbandona il padre e scappa lontano, portandosi dietro sogni, lacrime e canzoni. Il libro di Luca Miele ne è la sintesi perfetta, un racconto che rastrella riferimenti discografici dai Clash a Tom Waits.

Nei libri precedenti, Il vangelo secondo Bruce Springsteen e Il vangelo secondo il rock (Claudiana editrice) Luca Miele analizza il rapporto tra genitori e figli nelle canzoni di Bob Dylan e di Bruce. Descrive il tracollo della figliolanza e la conseguenziale orfanezza, condizioni in cui vivono i ragazzi di oggi, così come scrive Papa Francesco nel settimo capitolo della Christus vivit: «Molti giovani si trovano in una profonda situazione di orfanezza, si sentono figli del fallimento, perché i sogni dei loro genitori e dei loro nonni sono bruciati sul rogo dell’ingiustizia, della violenza sociale, del “si salvi chi può”. Quanto sradicamento!».

Luca Miele afferma d’essere stato fortunato a indagare sulla sua storia personale ascoltando i dischi di Springsteen e di Dylan. Hanno cantato in maniera drammatica e lacerante il rapporto con il padre, ritraendo questa doppia natura di figlio e di orfano. «Le loro canzoni hanno scritto involontariamente la mia biografia impastata di forza e di debolezza, proprio come la storia di Springsteen», dichiara l’autore che ha scoperto quella vulnerabilità che apparteneva al papà. «La stessa fragilità ora abita in me che sono papà di due figli» ammette candidamente. «Nelle relazioni, un padre di fronte a un figlio deve ammettere le proprie debolezze, riconoscerle e accettarle. Sono convinto che quanto vissuto con papà lo sperimenterò di nuovo in famiglia, quando i miei ragazzi diventeranno più grandi».

Il libro Mio padre odiava il rock’n’roll si apre con una dedica ai figli. Cede il passo alle canzoni che Pietro e Andrea ascolteranno e con cui diventeranno adulti. Come padre consegna la sua esperienza di ragazzo, in attesa di leggere le loro storie vissute. «Sì, è così. Scrivendo, ho sentito il bisogno di capire cosa è stato il passato, chi sono io adesso e cosa spero per me e i figli. Un genitore deve avere la capacità di gestire il momento di rottura che inevitabilmente arriva in famiglia. Vivo nel paradosso che come genitore dovrò accettare il tradimento dei miei figli. Non posso impedirlo, ciò che devo fare è fornirgli gli strumenti perché questo tradimento avvenga, nella certezza che quel rapporto mai potrà spezzarsi».

Nel capitolo intitolato Tu il figlio e io il padre l’autore narra della morte della figura paterna a causa di un cancro e l’inevitabile rovesciamento dei ruoli, specie durante la malattia. Si apre con dei versi di Lou Reed tratti dalla canzone Beginning of a Great Adventure che decantano la bellezza di avere un bambino al quale tramandare qualcosa che non sia rabbia, dolore, collera né sofferenza. Luca Miele a tal proposito cita una frase di Federico Fellini tratta da un libro in lettura, Il Casanova di Fellini ieri e oggi 1976 - 2016 per spiegare come la musica lo ha aiutato a superare quel momento drammatico: «L’arte è la possibilità di trasformare la sconfitta in vittoria, la tristezza in felicità. L’arte è un miracolo». Dichiara che la musica dà la possibilità d’ingoiare questi dolori familiari, di sputarli e di crescere grazie alla sofferenza, di guardare alla propria finitudine cercando risorse spirituali per fronteggiare la morte.

Ma non c’è soltanto il dolore nel libro. Alcune pagine sono divertenti, quella parte ludica soprattutto legata agli episodi del nonno Peppe. «Avevo due nonni completamente diversi l’uno dall’altro. Nonno Peppe, quello materno, era turbolento e istrionico. Il mio mito. L’altro nonno, da parte di padre, era un militare, figura estremamente autoritaria che non lasciava trasparire nulla di sé. Io sono un incrocio tra questi due opposti, tra un nonno che manifestava le sue emozioni e un altro che le tratteneva».

Il suo libro è un racconto corale nel quale i personaggi si fondono con i brani scelti per descrivere storie e stati d’animo, pagine su cui si ascolta una sola canzone che è l’amore. Luca racconta la sua famiglia tra ricordi di chi si è voluto bene e di chi un affetto lo ha mostrato a modo suo. È il peregrinare di un ragazzo lontano dal padre, di un figlio diventato adulto che ha fatto ritorno a casa all’imbrunire lì dove tutto è cominciato.

di Massimo Granieri