Riflessioni sulle strategie del governo di Ankara per rafforzare i rapporti economici e politici nel continente

Il dinamismo turco in Africa

Albanese.jpg
31 marzo 2020

Al di là della propria influenza nello scacchiere siriano, la Turchia ha accresciuto il suo coinvolgimento nella crisi libica; un conflitto che, alla prova dei fatti, si è trasformato in una sorta di guerra per procura tra vari attori regionali e internazionali. È comunque evidente che il ruolo politico del governo di Ankara nel continente africano, si spinge molto più a meridione e merita un’attenta disamina. Infatti, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha messo in atto negli ultimi anni un’articolata strategia volta a rafforzare i rapporti economici e politici del suo governo con i paesi africani. Si tratta di un indirizzo particolarmente interessante nello scenario delle relazioni internazionali, sia per quanto concerne le modalità con cui si sta sviluppando, assurgendo peraltro a modello per altri attori, sia per le implicazioni e possibili conseguenze nel medio termine, tanto per i partner africani quanto per la stessa Turchia.

Le direttrici attorno alle quali si è mossa l’azione politica del presidente Erdoğan sono molteplici, dall’intensificazione delle visite nei paesi africani, all’ampliamento della rete diplomatica e all’impegno nel campo commerciale, dell’aiuto umanitario e della cooperazione militare. Un esempio emblematico dell’impegno turco in Africa è quello del recente voto parlamentare, espresso lo scorso 19 marzo, che ha portato a 800 milioni di dollari, dai precedenti 358, la quota di partecipazione turca alla Banca africana di sviluppo (Adb), con una previsione di aumento fino a 4 miliardi. Tutto questo è avvenuto mentre è in corso la pandemia di coronavirus che sta generando grande apprensione a livello planetario. Da rilevare che sulla base del Piano di attuazione congiunto Turchia-Africa 2015-2019 e in conformità con la Dichiarazione di Istanbul del primo vertice di cooperazione Africa-Turchia del 19 agosto 2008, la Turchia ha promosso una lunga serie di partenariati con i paesi africani nella cooperazione e nel commercio, e investimenti negli ambiti più svariati: dalla sanità, alle infrastrutture; dal settore energetico, all’agricoltura; dallo sviluppo rurale alla promozione di piccole e medie imprese.

Le cifre parlano chiaro: gli investimenti e gli scambi commerciali della Turchia con l’Africa sono passati dai 5,4 miliardi di dollari nel 2003 a 26 miliardi di dollari nel 2019, con l’obiettivo ambizioso di raggiungere i 50 miliardi entro il 2023. Il dinamismo turco nel continente africano, che come abbiamo visto si caratterizza per un approccio multisettoriale, non sarebbe stato possibile se non fosse stato profuso un costante e intenso sforzo diplomatico. Ankara ha proceduto ad ampliare in Africa la propria rete diplomatica, aprendo 42 ambasciate nel continente, con l’impegno di raggiungere quota 54 in tempi brevi. Il presidente Erdoğan non perde occasione per visitare l’Africa che considera una vera e propria priorità. Nel gennaio scorso, ad esempio, si è recato in quattro paesi africani: Algeria, Gambia (la sua prima volta), Tunisia e Senegal. Questa determinazione gli ha consentito di elevare nel continente sia i rapporti politici, sia l’interscambio commerciale ma anche la realizzazione di importanti infrastrutture. La società turca Tav ha costruito due aeroporti in Tunisia, mentre la compagnia Summa ha realizzato l’aeroporto nella capitale del Niger, Niamey, collaborando con la connazionale Limak nella costruzione dello scalo di Dakar in Senegal. Da rilevare che la Summa, fondata dal suo presidente onorario Mete Bora, è una delle realtà imprenditoriali più importanti della Turchia, e in questi anni ha realizzato anche complessi residenziali e commerciali, hotel, centri congressi, stadi sportivi, centri commerciali e ospedali nel continente africano.

Un’altra grande impresa di costruzioni del calibro della Yapi Merkezi ha completato tre grandi progetti in Sudan: il ponte El Mek Nimir sul Nilo, il ponte Al Halfaia e il centro commerciale Al Wahat nella capitale, Khartoum. La Yapi Merkezi ha anche collaborato con un’associata portoghese alla prima fase di una linea ad alta velocità da 1,2 miliardi di dollari in Tanzania, per poi vincere in solitario un contratto per la seconda fase del lavoro. Un altro progetto ferroviario verrà prossimamente realizzato in Mali dalla Kalyon Insaat, altra società turca ben accreditata a livello internazionale. Molto singolare, perché caratteristico del modello di espansione turco in Africa, è il ruolo rivestito dalla compagnia di bandiera, la Turkish Airlines (Thy).

Ogni accordo politico stipulato dal governo di Ankara in questi ultimi anni è stato accompagnato dall’apertura di un collegamento aereo che ha certamente favorito gli sviluppi commerciali in Africa creando nuovi sbocchi. La Thy è stata tra l’altro la prima compagnia non africana a ripristinare i collegamenti con la capitale somala, Mogadiscio, nel 2012. Ed è proprio la Somalia, oltre alla Libia, che sta sempre più acquisendo un ruolo centrale, nella politica che Ankara sta perseguendo in Africa. Non a caso la più imponente ambasciata turca nel continente è proprio a Mogadiscio, dove peraltro sorge la più grande base militare all’estero di Ankara. Una struttura costata 50 milioni di dollari e che copre una superficie di 4 chilometri quadrati.

Interessante notare come il governo turco si sia fatto promotore attivo della pacificazione, anche se non ha sottovalutato il problema della sicurezza e della lotta al terrorismo. Accanto all’approccio inclusivo, basato sulla soft power, infatti, il governo turco contribuisce alla missione Amisom e collabora attivamente al parallelo processo di consolidamento delle forze di sicurezza locali. A novembre 2012 è cominciata l’implementazione di un accordo turco-somalo per la cooperazione nel campo dell’addestramento militare i cui obiettivi sono il rafforzamento della cooperazione nei settori della logistica militare e il mantenimento della pace. Non v’è dubbio che la Turchia in Somalia, come in altri paesi africani, rispetto ai governi occidentali abbia il vantaggio di possedere un’identità musulmana che le consente di interloquire più facilmente con le varie componenti di matrice islamica presenti, non solo in Somalia, ma nel continente in generale.

La regione del Sahel non è estranea a questo. Ad esempio, nel suo recente viaggio in Gambia, il presidente Erdoğan ha inaugurato una moschea e diverse scuole finanziate dall’Agenzia di cooperazione e di sviluppo turca (Tika) che ha lo scopo di promuovere investimenti nei paesi in via di sviluppo. E proprio nella regione saheliana, Ankara ha deciso di allestire un nuovo dispositivo militare congiunto con i governi del Mali, della Mauritania, del Burkina Faso, del Niger e del Ciad. È dunque evidente che la Turchia mira ad affermarsi in Africa, soprattutto in quelle zone di forte interesse geopolitico come il Corno d’Africa e il Sahel, altamente strategiche per gli equilibri del Medio Oriente e dell’intero scacchiere africano.

Un tratto distintivo dell’azione turca in Africa deriva dal fatto che il suo governo viene percepito dalle leadership africane come slegato dalle logiche che hanno caratterizzato l’approccio degli altri attori rilevanti, in particolare occidentali, nello stesso scacchiere. Vi è negli stakeholder africani una percezione sostanzialmente “positiva” della Turchia, considerata come un possibile nuovo punto di riferimento del Sud del mondo. Certamente le attenzioni di Ankara si fondano in parte — come inevitabile — anche sugli stessi piani d’interesse degli attori tradizionali, come ad esempio nel caso delle commodity. La dice lunga l’offerta somala, rivolta recentemente alle autorità turche, di avviare operazioni di ricerca di greggio al largo delle sue coste.

Inoltre, è evidente che gli interessi della Turchia sono anche motivati dalle difficoltà di dialogo con l’Unione europea (Ue) e dunque dall’esigenza di individuare nuovi mercati. Venendo meno l’attrazione europeista e volgendo l’attenzione della propria politica estera verso l’Asia Centrale, il Medio Oriente, la Turchia guarda all’Africa certamente come a una grande opportunità. Indubbiamente, lo scenario africano concede oggi molti spazi alla Turchia ma vi sono comunque altri attori, quali Pechino, Washington, Mosca o Bruxelles, che hanno dalla loro la possibilità di far valere sul medio/lungo periodo una dimensione economica complessiva che non può essere certo sottovalutata. Secondo alcuni osservatori, essendo la Russia diventata un interlocutore imprescindibile per Ankara nei principali teatri di crisi internazionali ed essendo le relazioni tra i due governi già solide sul piano economico, energetico e militare, questa partnership potrebbe consolidarsi anche sul versante africano.

La vera incognita è comunque rappresentata, alla prova dei fatti, dalla capacità del nuovo mercato comune africano — l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) entrato in vigore il 30 maggio dello scorso anno — di interagire in modo costruttivo, evitando che si procrastini non solo la parcellizzazione delle aree d’interesse africane, ma la coesione politica del continente, fondamentale per garantire pace e stabilità. Un atto di responsabilità che riguarda tutti, non foss’altro perché, come pertinentemente afferma Papa Francesco: «Per la pace ci vuole coraggio, molto più che per la guerra».

di Giulio Albanese