DANTE E I PAPI - I
Tra cultura classica e valori trascendenti della Rivelazione

Il cenacolo di Ravenna
e l’umanesimo cristiano

Niccolò V ritratto dal Beato Angelico in «Consacrazione di San Lorenzo come diacono» (XV secolo)
31 marzo 2020

Nell’ultimo periodo della vita di Dante nasce il cenacolo ravennate, culla dell’umanesimo cristiano; al suo interno compie i primi passi la tradizione dantesca, che allunga le radici su un terreno non dissimile dalle tradizioni greco-latine.

A Ravenna Dante ha intorno a sé una piccola cerchia di discepoli, una “scuola” in cui i molteplici interessi e le diverse competenze professionali, giurisprudenza, medicina, scienza, filosofia, letteratura, teologia, rimandano specularmente all’enciclopedismo dantesco e, contemporaneamente, si inscrivono in una sodalitas, culturale e personale, pubblica e privata, di cui Dante è protagonista e modello. Essi disegnano la traccia successivamente seguita da Giovanni Boccaccio e, per suo tramite, da Filippo Villani e, nel Quattrocento, da Coluccio Salutati, Leonardo Bruni e Biondo Flavio. Il cenacolo ravennate comprende, oltre Pietro e Jacopo Alighieri, figli del Poeta, il notaio Menghino Mezzani, il magistrato Bernardo Scannabecchi, i giuristi Pietro Giardini e Dino Perini, gli scienziati e medici Fiduccio de’ Milotti e Guido Vacchetta.

Dante fornisce così ai posteri un modello culturale in cui il patrimonio letterario e filosofico degli Antichi è esaltato dai valori trascendenti che la Rivelazione ha donato agli uomini. È un ideale di civiltà in cui fides religiosa e studia umanistici, affermazione di cristianità e culto della classicità, trovano un nuovo equilibrio nella forma linguistica del volgare, la lingua della Commedia. È una mirabile sintesi estetico-teologica che si esprime nelle ultime opere: le due Egloghe, riguardanti la corrispondenza poetica con Giovanni del Virgilio, la Quaestio de aqua et terra, e la conclusione del Paradiso: ecco lo specimen dell’umanesimo cristiano, la cifra che connota il cenacolo di Ravenna, una dimensione della conoscenza in cui l’interpretazione delle Fonti Mistiche medievali trova nella forma del Poema Classico, quello di Omero e di Virgilio l’approdo finale.

Il “processo unitivo con Dio” richiama la raggiunta consapevolezza delle ragioni morali della vita e della conoscenza umana, onde la conclusione della Commedia esalta sia il teocentrismo cristiano che l’omocentrismo umanistico: «Quella circulazion che sì concetta (...) dentro da sé, del suo colore stesso, / mi parve pinta della nostra effige, / per che ‘ìl mio viso in lei tutto era messo» (Paradiso XXXIII, 127 e sgg.); sarà proprio questa l’eredità raccolta da Papi cultori dell’umanesimo cristiano dantesco.

Mentre Dante si spegne e comincia la diffusione delle sue opere, la corte papale è ad Avignone, sotto il pontificato di Giovanni XXII (1316-1334). Qui aveva preso l’avvio la biblioteca papale, il cui primo inventario generale venne redatto nel 1369; in essa erano già presenti le opere di umanisti italiani tra cui Dante. Il ritorno del papato a Roma (1377), coincise con lo scisma d’Occidente, che, per quasi quarant’anni, avrebbe visto papi di diverse obbedienze contendersi la guida della Chiesa. Alla fine, il concilio di Costanza del 5 novembre 1414 depose i contendenti delle obbedienze pisana e avignonese, mentre il papa dell’obbedienza romana rinunciò volontariamente al pontificato.

Il concilio elesse Oddone Colonna, Martino v (1417-1431), il quale si dedicò al riordino della Curia romana. Sotto il suo pontificato arrivarono a Roma Poggio Bracciolini, Masaccio e Gentile da Fabriano, mentre la biblioteca fu potenziata dall’opera del cardinale Giordano Orsini. Pur avendo convocato un nuovo concilio a Basilea, nel 1431, Martino v non poté parteciparvi perché morì prima dell’inizio dell’assemblea, che invece fu seguita dal suo successore Eugenio iv (1431-1447). Questi, tornato a Roma per l’incoronazione di re Sigismondo, fu poi costretto alla fuga per un tumulto provocato dai Colonna e si rifugiò a Firenze.

La scelta ebbe conseguenze importanti nell’apertura del papato alla nuova temperie culturale dell’umanesimo che, in Firenze, stava trovando il suo principale centro di diffusione. Già dalla seconda metà del Trecento, era attivo un gruppo di dotti e scrittori, i quali avevano impostato gli studia humanitatis come strumento di ricerca filologica ma anche di formazione etica e civile. Era la “scuola” di Coluccio Salutati (1331-1406), cancelliere della signoria fiorentina, scopritore delle lettere familiari di Cicerone, autore di trattati, grande umanista. In lui il dantismo fiorentino della seconda metà del Trecento, avviato dall’opera di Giovanni Boccaccio, trova l’anello di congiunzione con il dantismo della prima metà del Quattrocento. Con l’opera De Tyranno, Salutati, lodando Dante, interviene nella polemica dei giovani umanisti fiorentini, suoi alunni, che prendevano le distanze da Boccaccio e da Petrarca, ribellandosi addirittura al culto di Dante.

Già nel 1383, quando Benvenuto da Imola gli aveva mandato il primo saggio del suo commento dantesco, e nel 1395, quando usa quasi le stesse parole rivolte al Petrarca, Salutati loda l’Alighieri e ancora nell’opera maggiore, De Laboribus Herculis, Dante è definito: vir optimum laudandi vituperandi peritus. Come risulta da un dialogo di Leonardo Bruni, Salutati riuscì ad assicurare la continuità, proporzionata al nuovo contesto umanistico, della tradizione dantesca, proprio perché rifiutarla significava anche rifiutare la tradizione cristiana e la lingua volgare. Il legame col cenacolo di Ravenna, da parte di Coluccio, nei suoi anni giovanili, si nota nel desiderio di incontrare Menghino Mezzani per “trovare” il testo originale della Commedia (vedi lettera da Roma del 24 aprile 1368), argomento su cui ritorna in un’altra lettera al Tuderano, del 23 aprile 1400: Tandem autem iterum atque iterum de Dante rogo.

A Firenze l’opera del Salutati è proseguita da Leonardo Bruni (1374-1444), anche lui cancelliere, e da Poggio Bracciolini (1380-1459), scrittore pontificio e poi, dal 1453, cancelliere della signoria fiorentina. Bruni e Bracciolini coinvolgono papa Eugenio iv nelle vicende culturali umanistiche (si veda la discussione sulla natura del latino, avvenuta nell’anticamera papale nel marzo 1435, tra i segretari della Curia pontificia, Biondo, Bracciolini, Bruni e riguardante l’origine del volgare). La tesi del Biondo legittimava la funzione degli scrittori nell’elevare la lingua volgare alla qualità letteraria, creando i presupposti per la rivalutazione delle tre corone e, in primo luogo, di Dante. Prima di Biondo, Leonardo Bruni, nel secondo dei Dialogi ad Petrum Paulum Histrum, del 1401, aveva ritrattato le accuse mosse a Dante, Petrarca e Boccaccio, presenti nel primo dialogo, esaltando i tre Poeti sia per l’inventio che per l’elocutio, e ammirando di Dante la grande dottrina e la perfetta eloquenza.

In questi anni dunque, tutta la Curia papale acquisisce ed accoglie il culto degli Umanisti per Dante e la biblioteca si arricchisce di numerosi manoscritti. Pertanto il successore di Eugenio iv, Niccolò v (1447-1455), Tommaso Parentucelli da Sarzana, prosegue ed esalta gli interessi culturali del suo predecessore, perché, nel suo pontificato, l’ideale della renovatio Urbis, si affianca alla consapevolezza di una missione culturale, coincidente con quella spirituale e pastorale. Per Niccolò v la biblioteca diviene il fulcro della sua rinnovata missione di guida culturale della cristianità. Quando Cosimo de’ Medici aveva aperto a Firenze, intorno al 1440, la prima biblioteca pubblica moderna, proprio al Parentucelli era stato chiesto di preparare un elenco di libri che avrebbero dovuto essere raccolti per completare la dotazione di partenza.

Nacque così il suo famoso Canone bibliografico, un lista divisa per argomenti nella quale egli trasfuse tutta la sua conoscenza diretta dei libri e la sua ampia cultura, non solo teologica o giuridica, ma anche letteraria e scientifica. Con Niccolò v la Vaticana diviene una grande biblioteca con oltre 1.230 codici, latini e greci, censiti nell’inventario del 1455. Il breve pontificato di Callisto III (1455-1458) separa Niccolò v da Pio ii (1458-1464), Enea Silvio Piccolomini, primo grande papa dantista.

di Gabriella M. Di Paola Dollorenzo