Per una democrazia inclusiva - 10

La maggioranza: il problema democratico per eccellenza

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18 dicembre 2019

Il problema della maggioranza, e segnatamente della sua legittimità a decidere in vece del tutto, è uno fra i più studiati nella scienza politica contemporanea. A partire dal grande contributo della Scuola di Public Choice, che mirava a integrare la struttura governamentale nell’analisi economica, le indagini si sono fatte sempre più raffinate.

Nel corso degli ultimi anni si è sviluppato un ampio dibattito sulle nuove forme di consultazione della volontà popolare, sulla democrazia elettronica e sull’opportunità di intervistare un gruppo consistente di corpo elettorale sulle grandi questioni politiche che interessano i cittadini, arrivando anche a pensare di sostituire le élite politiche con il popolo o, meglio, una frazione di esso.

La democrazia nasce e si sviluppa intorno al principio numerico, variamente inteso e declinato, ma che vede la consistenza da sempre come fattore decisivo. Addirittura nei Proverbi un’affermazione sembra suggerire la maggioranza quale criterio di governo: «Quando manca una sana direzione il popolo cade; ma nel gran numero dei consiglieri sta la salvezza» (Proverbi, 11, 24). Nella Grecia antica si procedeva per acclamazione, grida, intensità delle preferenze palesemente rilevate da una sorta di “applausometro”.

In ogni caso, solo nel corso dello sviluppo della moderna statualità si inizia a delineare una precisa elaborazione del principio di maggioranza. La parte viene rappresentata come il tutto. Ugo Grozio affermava che «la maggioranza ha naturalmente il diritto e l’autorità del tutto» e John Locke costruisce la più importante difesa del principio maggioritario in età moderna. Pochi decenni prima Thomas Hobbes aveva riconosciuto che il potere poteva essere attribuito al monarca oppure a un’assemblea. In quest’ultimo caso, «la voce del numero maggiore deve essere considerata come quella di tutti loro». Ed è questo il punto decisivo per quanto riguarda la regola della maggioranza. La volontà del corpo statale, che per Hobbes è ovviamente una corporazione fittizia, non può esistere se non come determinazione del sovrano. In un’assemblea si elidono i pareri opposti e ciò che prevale è la voce del sovrano. In fondo, un singolo membro può esprimere la voce del Parlamento intero, purché sia ben chiaro che l’assemblea è sovrana, ossia erede del Re decapitato o deposto, e anche l’unica plausibile alternativa al Principe materializzatasi nella storia dello Stato moderno.

La regola della maggioranza, infatti, non ha proprio nulla a che vedere con il consenso che si forma nel corpo elettorale, o nella società estesa. Chi governa in democrazia è spesso lontanissimo dall’avere una maggioranza nella società — talvolta si è visto che basta circa un quinto dei cittadini per governare “stabilmente” — ma chi governa ha il compito di forgiare una maggioranza in Parlamento. La regola della maggioranza è allora tutta interna al “corpo” del sovrano ed è un espediente per raggiungere una voce unica.

L’assemblea è l’erede del monarca, non accetta polifonie, deve parlare con una sola voce. Per Jean Bodin ciò che caratterizza una sintesi politica è la presenza di un’autorità umana a cui spetta la decisione ultima nell’ambito delle questioni politiche: la monarchia nel Cinquecento doveva relativizzare il conflitto religioso e creare un nuovo terreno in cui il giuridico sostituiva il teologico. L’assemblea diventa la sovranità in sé, è lo Stato stesso che si autoproclama comunità politica nel suo corpo dei rappresentanti, perché in grado di comporre una volontà unica. La sovranità — popolare, nazionale, statale — è solo sovranità parlamentare e quest’organo deve mimare il Re e parlare con una sola volontà.

Non è la maggioranza della società a costituire il presupposto della maggioranza parlamentare. La società è interpellata solo per eleggere un’assemblea che dovrà poi riuscire ad essere una. L’ossessione unitaria dello Stato moderno trova nella regola della maggioranza il proprio ultimo compimento. È una regola che non ammette eccezioni, perché senza pars pro toto non può esservi un sovrano. In breve, la regola della maggioranza è la sineddoche della modernità e il suo luogo di applicazione è il Parlamento, non la società.

di Luigi Marco Bassani
Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche, Università degli Studi di Milano