Nel recente discorso alla Curia

L’annuncio del Vangelo nel mondo secolarizzato

edit_23dicembre2019Tornielli.jpg
23 dicembre 2019

Nel discorso alla Curia che Francesco ha pronunciato sabato 21 dicembre hanno colpito alcune parole e anche il modo in cui le ha dette. Riconoscendo un’evidenza già presagita da alcuni grandi uomini di Chiesa già molti anni prima del Concilio Vaticano II, il Papa ha sottolineato: «Non siamo nella cristianità non più! — ha scandito — Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati». «Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede», in gran parte dell’Occidente «non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune» e anzi viene persino negata e derisa.

Abbiamo pertanto bisogno, ha aggiunto il Papa, «di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica». Un cambiamento di mentalità che parte dalla constatazione che «la vita cristiana, in realtà, è un cammino, un pellegrinaggio». E il cammino, ovviamente, «non è puramente geografico, ma anzitutto simbolico: è un invito a scoprire il moto del cuore che, paradossalmente, ha bisogno di partire per poter rimanere, di cambiare per potere essere fedele».

Un tempo la fede veniva trasmessa nelle famiglie attraverso il latte materno e l’esempio dei genitori, e anche la società si ispirava ai principi cristiani. Oggi questa trasmissione si è interrotta e il contesto sociale appare se non anticristiano, almeno impermeabile alla fede cristiana. Da qui la domanda che ha dato vita al Concilio e ha attraversato gli ultimi pontificati: come annunciare il Vangelo dove non è più conosciuto o riconosciuto? Non è un caso che con un crescendo esponenziale i Vescovi di Roma che si sono succeduti abbiano indicato proprio nella misericordia la medicina necessaria per curare le ferite della nostra umanità contemporanea. La misericordia di un Dio che ti cerca, si avvicina, e ti abbraccia prima di giudicarti. È sperimentando quell’abbraccio che ci riconosciamo poveri peccatori continuamente bisognosi di aiuto.

Al termine dell’incontro, Francesco ha voluto regalare ai collaboratori della Curia il libro-intervista Senza di Lui non possiamo far nulla, scritto con Gianni Valente. E l’ha definito “il documento” che ha voluto fare per il mese missionario straordinario. In quel testo di recente pubblicazione, il Papa spiegava che «la missione è opera Sua», cioè di Gesù. «È inutile agitarsi. Non serve organizzare noi, non serve urlare. Non servono trovate o stratagemmi», perché «è Cristo che fa uscire la Chiesa da se stessa. Nella missione di annunciare il Vangelo, tu ti muovi perché lo Spirito Santo ti spinge, e ti porta. E quando tu arrivi, ti accorgi che Lui è arrivato prima di te, e ti sta aspettando». Annunciare il Vangelo, aggiungeva il Papa nel libro-intervista, «non consiste nell’assediare gli altri con discorsi apologetici, nell’urlare in faccia agli altri» la «verità della Rivelazione». Tanto meno «serve scagliare sugli altri verità e formule dottrinali come se fossero pietre», perché «la ripetizione letterale dell’annuncio di per sé non ha efficacia, e può cadere nel vuoto, se le persone a cui viene indirizzato non hanno occasione di incontrare e pregustare in qualche modo la tenerezza stessa di Dio verso di loro, e la sua misericordia che guarisce».

Un tratto distintivo della missione cristiana, suggerisce l’attuale Successore di Pietro, «è quello di fare da facilitatori, e non da controllori della fede». Facilitare, cioè «rendere facile, non porre noi ostacoli al desiderio di Gesù di abbracciare tutti, di guarire tutti, di salvare tutti». Sempre coscienti che «senza di Lui non possiamo far nulla».

di Andrea Tornielli