Lettere dal direttore

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06 settembre 2019

«And when it’s time for leaving Mozambique», cantava Bob Dylan alla fine del 1975. Nel giugno di quell’anno lo stato africano aveva finalmente ottenuto l’indipendenza e il cantautore americano celebra l’avvenimento dedicandogli una scatenata ballata a suon di violino che termina con un sognante saluto a quella “magic land”: «E quando è tempo di lasciare il Mozambico, / di dire addio alla spiaggia ed al mare/ ti volti per un ultimo sguardo/ e capisci perchè è così speciale stare/ tra la amabile gente libera/ sulle spiagge dell’assolato Mozambico».

Il Papa ha salutato questa terra alla volta del Madagascar, altro paradiso naturale, altre difficoltà, e lo ha fatto anche lui sognando ma come fa lui, ad occhi bene aperti e attenti per mettere in moto processi che poi i sogni cercano di trasformarli in solide realtà. Certamente anche il Papa, senza neanche andare in spiaggia, ha sentito come è «speciale stare tra la amabile gente libera del Mozambico», che gli ha riservato un’accoglienza a dir poco calorosa, ricca di musica e canti. Non ci sono stati i violini di Dylan ma tanti, tanti tamburi, suonati dalla gente del popolo, uno strumento semplice e antico, che forse è il simbolo più diretto al tempo stesso più pungente della terra mozambicana. Lo ha ricordato Sergio Suchodolak in un articolo pubblicato nella nostra pagina culturale dedicato a Craveirinha il più grande poeta del Mozambico che diceva di sé: «Voglio essere tamburo» riferendosi alla lotta per la libertà che andava accompagnata dal ritmo incessante del tamburo. In questi due giorni i tamburi di Maputo suonavano di gioia per l’arrivo del Papa, per la libertà e la pace ottenute e invocavano riconciliazione e speranza. La speranza che il Papa ha portato in questa terra lontana e che riporta con sé verso nuove mete ora che è venuto il tempo di lasciarla.

A.M.