Il Papa racconta e si racconta nel discorso a braccio alle contemplative

La salvezza del mondo a piccoli passi

Pope Francis is greeted by nuns during his visit at the Discalced Carmelite Nuns monastery in ...
07 settembre 2019

Nella vita di ogni uomo c’è una lotta «crudele ma bella», dice il Papa al termine di un discorso, tutto improvvisato, alla comunità delle Carmelitane Scalze di Antananarivo. Ed è bella questa lotta crudele che dura per tutta la vita di una persona perché, «quando è vera, non si perde la pace».

In quest’oasi nel centro della capitale del Madagascar, parlando alle religiose contemplative, il Papa ha evitato di leggere il discorso preparato e ha voluto parlare di pace, di lotta interiore e di discernimento (una parola che non ha pronunciato ma è il tema fondamentale del discorso) e lo ha voluto fare mettendosi a nudo, raccontando una storia, che è dell’800 ma è anche la sua, la nostra, la storia di queste suore di clausura che forse, magari senza saperlo, salvano il mondo.

La storia che il Papa ha raccontato con grande sapienza narrativa, facendo ridere e commuovendo l’uditorio, vede al centro una figura che gli è molto cara, santa Teresina di Lisieux. Non mi dilungo, il testo del discorso si ritrova in ultima pagina, ma non posso non soffermarmi su un paio dei passaggi-chiave di un racconto molto denso e ricco di spunti preziosi non solo per le suore a cui era destinato. Santa Teresina da giovane si trova a dover accudire una vecchia suora, quasi paralitica e anche un po’ nevrotica che la tormenta. «Ma la giovane» osserva il Papa, «sempre col sorriso la accompagnava» senza cedere alla tentazione di «mandarla a passeggio». Questa storia per il Papa è paradigmatica, «fa vedere lo spirito con cui si può vivere una vita comunitaria». La giovane santa non cede e anzi crede con ancora più coraggio nell’obbedienza e qui trova quella via della perfezione che le suore cercano entrando in convento. È la grande, luminosa, storia dei piccoli passi. Quei piccoli gesti, dice il Papa, che «sembrano niente ma sono piccoli passi che fanno schiavo Dio, piccoli fili che imprigionano Dio». Questo era il pensiero di Santa Teresina: le corde d’amore per legare Dio, quei «piccoli atti di carità, piccoli, piccolissimi, perché la nostra piccola anima non può fare grandi cose». A questo devono pensare le suore, al «coraggio di fare i piccoli passi, il coraggio di credere che nella mia piccolezza Dio è felice e compie la salvezza del mondo».

E questo è il primo atto del racconto che, come ogni buona storia, è strutturato in tre atti.

Il secondo atto è, canonicamente, quello del conflitto. C’è anche il diavolo in tutto questo, ma non è dove e come te lo aspetti, non è la vecchia suora nevrotica (poi vedremo chi è), non è la priora da cui andava Santa Teresina (e che non la sopportava) e da cui vanno ancora oggi tutte le giovani suore in difficoltà, non è lì il diavolo, anzi nella priora c’è Gesù dice il Papa, perché c’è la sfida dell’obbedienza, anche quando «bisogna riconoscere che non tutte le priore sono il premio Nobel della simpatia!». Insomma spunta il diavolo, e prima ci prova in modo grossolano: Santa Teresina sente la musica dei canti e dei balli che provengono dal “mondo” ed è tentata, ma resiste. Allora il diavolo si fa furbo e va «a chiedere consiglio a un altro diavolo più furbo», il quale gli fornisce consigli e strategie molto più sofisticate per vincere le resistenze della giovane suora. E qui spuntano almeno tre fonti letterarie: la prima è Le lettere di Berlicche di Lewis, ma è una fonte non proprio sicura, mentre invece è senz’altro una fonte certa quella che il Papa cita esplicitamente (il passo di Luca 11, 24-26) e forse ancora più certa è quella che il Papa non cita, cioè gli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola, la parte dedicata alla seconda settimana, quando lo scontro con il Maligno si fa ancora più duro e richiede un arduo discernimento. E come si fa a combattere in questi casi? Il Papa lo dice apertamente che la salvezza può venire solo dagli altri, se ci si apre e si chiede soccorso senza pretendere di fare tutto da soli. È qui che la comunità gioca il suo formidabile ruolo di accompagnamento e di incoraggiamento. Ma bisogna parlare, aprirsi e confidarsi: «Per favore, sorella, quando tu senti qualcosa di strano, parla subito! [...] Se Eva avesse parlato in tempo, se fosse andata dal Signore a dirgli: “Questo serpente mi dice queste cose, tu cosa ne pensi?”».

Alla carità dei piccoli passi, primo atto, deve seguire la carità del chiedere consiglio, della trasparenza del cuore. Questo permette di vincere la sfida del Maligno sapendo che tornerà fino alla fine, come ha fatto con santa Teresina. Non si va “in pensione” dice il Papa, «fino alla fine, tu dovrai lottare». C’è qualcosa di autobiografico in questo passaggio, forse di profetico, senza dubbio il Papa “sente” particolarmente questa storia e l’ascoltatore “sente il sentimento” del Papa.

Dunque fine della storia? No, perché c’è il terzo atto. Con il colpo di scena che rivela chi è, oggi, la vecchia suora nevrotica. Lo lascio dire alle parole, toccanti, del Papa: «Vorrei finire la storia della Teresa con la vecchietta: questa Teresa, adesso, accompagna un vecchio. E voglio dare testimonianza di questo, voglio dare testimonianza perché lei mi ha accompagnato, in ogni passo mi accompagna [...] A volte sono un po’ nevrotico e la mando via. A volte l’ascolto; a volte i dolori non me la fanno ascoltare bene. Ma è un’amica fedele. Per questo non ho voluto parlarvi di teorie: ho voluto parlarvi della mia esperienza con una santa e dirvi cosa è capace di fare una santa e qual è la strada per diventare sante». In questa frase si trova, concentrato, uno dei segreti di questo pontificato, del suo stile “narrativo”: non teorie ma esperienze. Per finire non servono allora parole di commento, se non quelle che il Papa stesso ha detto come a voler spiegare la sua improvvisazione: «Questo Papa è un po’ “folklorico”, perché invece di parlarci di cose teologiche, ci ha parlato come a delle bambine. Bambine. Magari foste tutte bambine nello spirito, magari! Con quella dimensione di fanciullezza che il Signore ama tanto». Dunque non è vero che solo ai bambini si raccontano le storie, le si raccontano anche agli adulti perché possano diventare bambini.

Andrea Monda