La visita alla Città dell’Amicizia di Akamasoa

Il cuore del mondo

SS. Francesco - Viaggio Apostolico in Madagascar: Visita alla Città dell’Amicizia  08-09-2019
09 settembre 2019

Vi è mai capitato di avere la sensazione di trovarvi nel cuore del mondo? In quel centro pulsante che nel tempo e nello spazio trasmette energia e vita a tutto ciò che esiste? Dovevo avere circa dodici anni e una sera mi trovavo a piazza San Pietro e pensai di essere proprio lì, al centro del mondo.

Sono passati tanti anni e ricordo che qualche anno fa, quando mi trovai con mia moglie a pregare nel Santo Sepolcro a Gerusalemme, ebbi la medesima sensazione. Ieri, domenica pomeriggio, mi è capitato di nuovo: mi trovavo ad Akamasoa, “la città dell’amicizia”, su un’altura che sovrasta Antananarivo, in Madagascar, dentro una sorta di palazzetto dello sport di questo piccolo villaggio creato grazie all’opera di padre Pedro Opeka, 71 anni, una fluente barba bianca, due occhi fiammeggianti e un sorriso travolgente. Akamasoa quando è iniziata, come tutte le grandi cose, era minuscola: padre Pedro e una famiglia, povera, di malgasci da aiutare. Oggi qui ci vivono quasi quattromila famiglie, oltre ventimila persone, novemila bambini, di cui settemila scolarizzati. Vivono e lavorano, per lo più alla vicina cava di granito, passano ore e ore a scavare la roccia, e questo lavoro, insieme ad una vita in una comunità fondata sulla condivisione, ha interrotto il circolo infernale della povertà, dell’esclusione, della solitudine. Le diverse migliaia di bambini che cantavano urlando festosamente al Papa giunto da Roma, hanno fatto da cornice all’abbraccio tra il Papa stesso e l’amico, il vincenziano Pedro Opeka, prete argentino che a suo tempo, cioè 50 anni fa, era stato allievo di Bergoglio al corso di teologia pastorale (ma non gli andava tanto di studiare, ha precisato il Papa, già all’epoca aveva optato per l’azione, per il lavoro). I due si sono abbracciati, poi si sono seduti uno a fianco all’altro e padre Pedro cantava, insieme ai “suoi” novemila bambini. Al termine si sono di nuovo abbracciati e a guardarli, commosso fino alle lacrime, c’era proprio vicino a me padre Tomaz Mavric, superiore dei padri Vincenziani, poi chiamato sul palco per salutare il Papa.

Ero lì a guardare questa scena e ho avuto quella sensazione precisa di trovarmi nel cuore del mondo. Tutto il resto del mondo, ho pensato, proprio da questo posto riceve la vita, l’energia, il senso, e non lo sa. Potreste venire qui, ad Akamasoa, sopra Antananarivo, per verificare le mie parole, ma potreste anche non farlo, può essere sufficiente andare lì dove la carità diventa carne, opera vissuta che trasforma il mondo. Può essere un luogo simile ad Akamasoa, ce ne sono tanti nel mondo, anche se non sono luoghi famosi, e sono tanti perché non esiste un solo centro del mondo. Non è un cerchio il mondo con un solo centro, è più simile a un poliedro, anche in questo ha ragione il Papa. Un luogo simile ad Akamasoa dunque, anche se con dimensioni diverse, più grande o più piccolo, i numeri non contano se si parla di cuore. Anzi, sembra che la caratteristica del cuore del mondo sia la piccolezza. Il giorno prima il Papa, parlando alle suore contemplative aveva parlato dei “piccoli passi”, gli atti minuscoli di carità che finiscono per “legare Dio” e allora «Dio è felice e compie la salvezza del mondo». Non sono importanti le dimensioni, la grandiosità. Importante è che ogni tanto apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che anche noi siamo a un passo dall’essere nel cuore del mondo e allora, dobbiamo vincere le resistenze e fare quel passo, diventando anche noi oscuri protagonisti di questa “pulsazione”, di questo “palpito”. È una parola un po’ strana, che il Papa ha usato due volte in questo viaggio in Africa. Ai giovani del Mozambico aveva detto «voi siete il palpito del vostro popolo», mentre in Madagascar, sempre domenica, nell’omelia della mattina di fronte a quasi un milione di malgasci (molti dei quali avevano dormito nella fredda notte del campo di Soamandrakizay pur di partecipare alla messa) ha parlato della tentazione di vivere per sé stessi e «di chiudersi nel proprio piccolo mondo che finisce per lasciare poco spazio agli altri: i poveri non entrano più, la voce di Dio non è più ascoltata […] non palpita più l’entusiasmo di fare il bene». Quanto palpitava quel palazzetto dello sport di Akamasoa!

In quella stessa omelia c’è un passaggio che si può ricollegare a questo trovarsi nei pressi del cuore del mondo, a questa misteriosa dimensione dell’essere “oscuro protagonista” della storia, quando ha detto che «la nostra vita e le nostre capacità sono il risultato di un dono intessuto tra Dio e tante mani silenziose di persone delle quali arriveremo a conoscere i nomi solo nella manifestazione del Regno dei Cieli», che ricorda tanto da vicino le parole di Edith Stein che vivendo, fino in fondo, gli anni terribili della seconda guerra mondiale, ci ha lasciato la seguente vertiginosa riflessione: «Nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi. Tuttavia, la corrente vivificante della vita mistica rimane invisibile. Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali nulla viene detto nei libri di storia. E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che sapremo soltanto nel giorno in cui tutto ciò che è nascosto sarà svelato».

Domenica pomeriggio, nel piccolo centro sperduto di Akamasoa, nel vedere due vecchi amici abbracciarsi, ho avuto la sensazione di trovarmi in uno degli avvenimenti decisivi della storia, molto vicino al cuore del mondo.

Andrea Monda