Il parroco che in Pakistan libera i lavoratori dalla schiavitù

Un uomo fatto Vangelo

slavp.jpg
12 luglio 2019

Si chiamerà Colonia Cristo Re ed è un nuovo villaggio che sta nascendo nella diocesi cattolica di Faisalabad, in Pakistan: accoglierà trecento famiglie di contadini cristiani che «sono risorti a nuova vita», come spiega a «L’Osservatore Romano» padre Emmanuel Parvez, 68 anni, parroco a Pensara, località nei pressi della città pakistana, che si sta occupando della nascita del nuovo villaggio. Si tratta, infatti, di interi nuclei familiari liberati da un “lavoro” che, lungi dall’essere una normale occupazione retribuita con un dignitoso salario, è invece una forma di schiavitù legalizzata. È ciò che Papa Francesco ha definito, con un’efficace espressione, «lavoro schiavo» e che in Pakistan arriva a coinvolgere, secondo stime dell’organizzazione non governativa Walk Free Foundation, che redige il Global Slavery Index, oltre due milioni di persone.

Sono soprattutto le famiglie più povere a esserne vittime e, tra loro, quelle appartenenti alle minoranze religiose cristiane e indù: sono i cosiddetti “schiavi per debito”, vittime di un meccanismo perverso che li condanna a subire abusi e vessazioni e a sacrificare l’intera esistenza alla mercé di padroni senza scrupoli. Quelle famiglie povere si trovano nella condizione di chiedere un prestito in denaro a ricchi feudatari, spesso latifondisti o proprietari di fabbriche di mattoni. «Lo fanno per la necessità di cure mediche, dato che in Pakistan l’assistenza sanitaria è tutta a carico dei privati. O, magari, per finanziare la festa di nozze di una figlia», osserva il parroco. Ma, per restituire quei soldi, la garanzia offerta è il lavoro: intere famiglie, bambini e anziani inclusi, si ritrovano senza diritti, senza certezze, senza paga, costretti a turni di lavoro massacranti di oltre quattordici ore giornaliere, per cercare di sanare il debito. «Di fatto, dati gli interessi e il denaro dovuto al padrone per il vitto e l’alloggio nei pressi della fabbrica, non riusciranno mai a estinguerlo», rileva padre Emmanuel.

Il sacerdote ha constatato la presenza di oltre ottanta fornaci che estraggono argilla e fabbricano mattoni nel vasto territorio della sua parrocchia, nella campagna del Punjab pakistano. È un’area prevalentemente agricola, con 200.000 abitanti in maggioranza musulmani e con soli duemila cattolici. Ben presto si è accorto delle condizioni disumane in cui erano ridotte molte famiglie cristiane del suo territorio e per questo, bussando alle porte di donatori europei, ha messo in moto un’attività che «vuole spezzare le catene della schiavitù, non più tollerabili, e restituire dignità e libertà a queste famiglie oppresse da un giogo che condiziona per sempre la loro vita».

Padre Emmanuel Parvez paga quel debito e riscatta i moderni schiavi. Non solo: fornisce a quelle famiglie un piccolo appezzamento di terra per costruire una casa e coltivare prodotti agricoli, così da provvedere al loro sostentamento. Si occupa, inoltre, dell’istruzione dei bambini, che vengono prelevati con uno scuolabus dalle loro case, accompagnati a scuola, nutriti e accuditi. «Già sessantacinque famiglie sono risorte a vita nuova», nota con commozione. «Grazie al contributo ricevuto dalla Conferenza episcopale italiana, hanno potuto costruire una casa. In quel territorio sta prendendo forma la Colonia di Cristo Re: così l’abbiamo chiamata perché è Cristo colui che ha vinto la morte e ha spezzato le catene della schiavitù. È lui che dona a questi fedeli la libertà dal maligno e la risurrezione, dopo le ombre della morte», spiega. La profonda fede di padre Parvez, uomo fatto Vangelo, si esprime nel servizio incondizionato al prossimo. Il parroco ha preso a cuore la sorte di questi diseredati: «Negli ultimi anni abbiamo salvato, anche grazie ai volontari della nostra parrocchia di San Paolo apostolo, oltre trecento famiglie. Così restituiamo loro la speranza nel futuro. Così la Chiesa si fa vicina ai poveri. Così queste persone tornano a vedere la luce e a lodare Dio».

La schiavitù è stata abolita in Pakistan nel 1992 e la legge richiede agli ufficiali del governo locale di investigare sui rapporti di lavoro in forma di schiavitù e di liberare le vittime. Ma raramente questo accade. È noto il caso di Iqbal Masih, il bambino che, a soli 4 anni, fu venduto dalla sua famiglia al proprietario di un’azienda tessile per sanare un debito. Il ragazzo è divenuto il simbolo internazionale della lotta al lavoro minorile, ma la sua vicenda non ha segnato il superamento di una piaga che affligge la società pakistana. Secondo un recente rapporto dell’Unicef, in Asia meridionale sono settantasette milioni i bambini e i ragazzi che lavorano, mentre in Pakistan l’88 per cento dei lavoratori occupati in diversi settori di impiego ha un’età compresa fra i 7 e i 14 anni.

Di fronte a tali storie, osserva padre Emmanuel, «si inizia con un piccolo contributo: ci siamo accorti di questa situazione e abbiamo mobilitato la comunità e tutte le nostre forze. Forse non è molto, forse è una goccia nel mare, ma lo facciamo con tutto il cuore. E lo facciamo solo perché avvertiamo forte il richiamo di Gesù Cristo che ci dona misericordia e ci invita a praticare la misericordia. Così una briciola di quella misericordia irriga anche il Punjab, la nostra amata terra dei cinque fiumi, fertile e ricca di acqua, ma anche ricca dell’amore contagioso verso il prossimo».

di Paolo Affatato