La prontezza è tutto (se ci lasciamo sorprendere)

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09 gennaio 2019

L’importante è essere sempre pronti. Possibilmente essere pronti a tutto. I leader politici in questi giorni pieni di incertezze e di agitazioni si sbracciano per dimostrarsi pronti, e pur di raggiungere gli obiettivi che si ripromettono e che promettono agli elettori si dichiarano capaci di non esitare neanche per un attimo e di andare dritti e sicuri fino in fondo, fino alle più estreme conseguenze. Dovrebbe rassicurarci tutto questo, anche perché la prontezza in effetti è importante, anzi di più: the readiness is all, “la prontezza è tutto” come dice a Orazio il buon Amleto (atto 5, scena 2). Ma di quale prontezza stiamo parlando? Quella di cui si parla nel dibattito politico contemporaneo spesso equivale a un guardare avanti, un pre-vedere, ma solo per affermare se stessi imponendo la propria posizione come a dire: si deve fare così e per raggiungere questo obiettivo non pongo limiti alla mia volontà, gli altri sono avvisati di fare lo stesso, nessuno mi ponga limiti. La prontezza qui è deterrenza, un avvertimento che ricade direttamente sugli altri.

Ma c’è un’altra prontezza. Più riflessiva, anche nel senso letterale del termine, che cioè si riflette sul soggetto senza ricadere sugli altri. È la prontezza non di chi ha il comando delle operazioni, di chi fa il primo passo, ma di chi si trova a dover rispondere (appunto “con prontezza”) alle domande e alle richieste della vita. È questa la prontezza di cui parla Amleto ed è la stessa di cui è piena la Scrittura. Si pensi ad Abramo, non ha grandi virtù eppure è pronto a rispondere alla domanda esigente del Signore. Così Mosè, i profeti, così gli apostoli: alla parola “seguimi” rispondono lasciando la loro attività e mettendosi subito alla sequela. Nessuno di questi prevedeva quello che gli stava per accadere, la risposta è fatta con una prontezza paradossalmente riluttante, di certo nessuno di questi aveva fatto in precedenza un corso di preparazione per farsi trovare pronto. Di fronte ai nodi, quelli veri, della vita, non si è mai pronti. Lo esprime bene Martin Buber: «Ciò che Dio richiede da me in quest’ora lo apprendo quando mi accade, e non prima che mi accada». Questa intrinseca inadeguatezza della natura umana fa risuonare ancora di più la paradossalità dell’esortazione che Gesù spesso ripete nel Vangelo: estote parati, siate pronti.

Un paradosso che si può riassumere nel fatto che il segreto della vita sembra risiedere nella capacità di essere pronti a rimanere sorpresi, sorpresi dalla gioia direbbe C.S. Lewis.

«Il nostro Dio è il Dio delle sorprese», ha più volte ripetuto il Papa e questo pensiero non può non ritornare alla mente in questi giorni del Natale, la più grande sorpresa gioiosa inscritta nella fede cristiana, un Dio che s’incarna e nasce bambino (superata solo dall’altra sorpresa, questa volta dolorosa: un Dio che muore). Proprio in virtù dell’incarnazione quella del Natale non è una sorpresa relegata a quella notte di Betlemme di duemila anni fa, ma è ciò che avviene ogni giorno in tutti i luoghi del mondo quando nasce un essere umano, come ha colto, con l’intuizione propria dei grandi artisti, la poetessa polacca Wisława Szymborska: «alla nascita d’un bimbo il mondo non è mai pronto».

Andrea Monda