Nell’esperienza delle Banche dei cereali in Ciad un valore economico e religioso

Chi salva dalla fame lo manda Dio

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18 agosto 2020

È una banca, ma non ha sportelli, né forzieri, né lingotti d’oro, né valuta pregiata. Nelle sue “casseforti” sono custoditi cereali. Solo cereali. È quanto ha costruito nella regione del Guéra, in Ciad, padre Franco Martellozzo, gesuita italiano, da più di cinquant’anni missionario in Africa. Un’istituzione, quella delle Banche dei cereali che, nel tempo, ha assunto un grande valore economico, ma anche culturale e religioso.

In Ciad si pratica un’agricoltura di sussistenza che offre ai contadini il minimo per sopravvivere. La stagione agricola è una sola e va da aprile a settembre. Questo è l’unico periodo in cui le condizioni climatiche permettono di coltivare la terra piantando miglio, sorgo e arachidi. A settembre-ottobre si può poi raccogliere i frutti del proprio lavoro. Al momento del raccolto, la maggior parte degli agricoltori vende una porzione del miglio e del sorgo per ricavare un po’ di soldi per le necessità delle proprie famiglie. E qui nasce il problema: se tutti vendono nello stesso momento, i prezzi si abbassano. I contadini quindi non riescono a realizzare un guadagno sufficiente. Parallelamente, i commercianti comprano, immagazzinano e aspettano che le riserve di miglio e sorgo dei contadini scarseggino. Questo avviene nel periodo detto di “saldatura”, cioè quello della stagione delle piogge, quando si deve lavorare per il nuovo raccolto e le scorte della stagione precedente sono ridotte al minimo. Quasi tutti in quel momento comprano e quindi il prezzo, per una legge di mercato, cresce, arrivando anche al triplo di quello al quale i contadini avevano venduto ai commercianti. Per ottenere i soldi necessari a vivere, c’è chi vende l’aratro o capi di bestiame e, se non basta, va a lavorare per i grandi commercianti, innescando un circolo vizioso di debiti e crediti che porta molti agricoltori a uno stato di semischiavitù.

Nel 1994, di fronte a una grande siccità, la Chiesa cattolica ha iniziato a riflettere su quali strumenti mettere in atto per uscire dal circolo vizioso di fame e speculazione sui cereali. «Ci si accorse — ricorda padre Martellozzo — che la distribuzione dei viveri risolveva il problema in modo temporaneo, ma ispirava un sentimento di de-responsabilizzazione. Da qui l’idea di costruire un magazzino dove conservare una riserva di miglio, che poi sarebbe stato dato in prestito durante il periodo della “saldatura”. Le proposte furono accettate e il magazzino divenne una vera e propria “Banca dei cereali”».

Il sistema è semplice. Agli agricoltori si prestano uno o più sacchi di cereali che si trovano nella banca. I contadini si impegnano a rendere il sacco dopo il raccolto, con un “interesse” di venti chili di miglio. «Superate le prime perplessità e dopo qualche duro contrasto con i commercianti — osserva il missionario gesuita — abbiamo oggi in Ciad 334 banche in altrettanti villaggi, riunite in una federazione con trentacinquemila aderenti capi-famiglia. Ciò significa che la federazione raggiunge 350.000 persone e molti altri villaggi sono sulla lista d’attesa, in previsione o in formazione. La conseguenza più importante è la quasi eliminazione degli usurai. Adesso ogni contadino lavora la sua terra e ha riacquistato la libertà», commenta con soddisfazione.

L’esperienza delle Banche dei cereali ha però una valenza superiore a quella economica. «Attraverso questa rete di banche — continua Martellozzo — vogliamo creare un rapporto di collaborazione tra cristiani e musulmani.  Benché frutto della carità evangelica, esse si presentano come una struttura laica, indipendente dalle istanze ecclesiastiche, e si appoggiano su associazioni locali che lavorano sul terreno e che sono in gran parte formate da credenti musulmani». Inizialmente, racconta il missionario italiano, la diffidenza dei musulmani era grande. Essi temevano che, attraverso questi aiuti umanitari, la Chiesa cattolica avesse una sorta di disegno di assimilazione religiosa. «Non si può dare loro torto», commenta il gesuita: «Alcune ong musulmane e organizzazioni di matrice protestante operano con questa subdola ideologia: “Io ti aiuto, se tu abbracci la mia fede!”». Per superare questo problema, fin dall’inizio, le équipe che gestivano le singole banche erano composte da membri dell’élite musulmana insieme a personaggi della comunità cattolica. «Si è subito instaurato un ottimo clima di collaborazione», osserva. Questa impostazione «è tra l’altro in sintonia con la laicità dello Stato proclamata dalla Costituzione ciadiana».

Negli anni, le resistenze al progetto sono arrivate dai commercianti all’ingrosso che, sentendosi tagliare l’erba sotto i piedi, si sono rivolti ad alcuni imam per far dichiarare haram cioè impure, e quindi proibite, le Banche dei cereali. Impure, a loro parere, perché, al momento del rimborso del miglio,  il contadino deve aggiungere un “interesse” alla quantità presa in prestito, cioè qualche chilo in più i cui proventi vengono utilizzati per il funzionamento della banca  stessa.  Nella legge islamica qualsiasi prestito deve essere senza interesse (riba). «Per chiarire che non avevamo alcun intento speculativo — conclude padre Franco — abbiamo organizzato una grande riunione alla quale abbiamo invitato le più alte autorità civili e religiose. La questione è stata risolta facilmente attraverso un confronto semplice quanto diretto. Qualche tempo dopo, però, il tema è tornato alla ribalta. Alcuni esponenti islamici fondamentalisti che venivano da fuori il Guéra hanno chiesto scandalizzati alla comunità musulmana locale: “Come mai collaborate con i cristiani che sono impuri?”. La risposta è stata diretta: “Non possono essere impuri coloro che ci hanno salvati dalla fame per puro amor di Dio. Non ci hanno chiesto nulla in contraccambio. Solo Dio può ispirare tali sentimenti”».

di Enrico Casale