La visita della ministra degli Esteri palestinese ai bambini di Gaza in cura al Policlinico Umberto I di Roma

L’abbraccio delle donne

 L’abbraccio delle donne  QUO-115
19 maggio 2025

di Roberto Cetera

Piccoli orecchini dorati le ingentiliscono il viso segnato dalla malattia. Sono l’unica cosa che la piccola Zeina, quattro anni, è riuscita a portare con sé scappando dalle bombe di Gaza. Da febbraio scorso vive con la mamma Manar e la sorellina Dana di due anni al Policlinico Umberto I di Roma nel reparto di oncologia pediatrica. La salutiamo da qualche metro di distanza perché le sue difese immunitarie sono troppo basse per avvicinarla, ma, pur non conoscendoci ancora, ci saluta mandando bacini con la mano. Sotto lo sguardo vigile dello staff medico e infermieristico che segue questi bambini con amorevole attenzione e professionalità.

Con un occhio sempre rivolto a Dana, che, ancora inconsapevole, scorrazza lungo i corridoi del reparto, la mamma Manar Farhat Murtaja, 29 anni, ci racconta: «Siamo qui da quattro mesi, non sono mai uscita da qui; mangiamo e dormiamo tutte e tre in questa stanza. Grazie ad un corridoio umanitario siamo arrivate a Roma. Zeina è in una situazione critica. Stava male mentre eravamo a Gaza, ma lì non c’era nessuna possibilità non solo di curarla ma neanche di diagnosticare quale malattia l’avesse colpita», dice.

«Gli ospedali più vicini erano distrutti e non c’era possibilità di trattarla. Le poche strutture in funzione danno la precedenza ai feriti estratti dalle macerie in imminente pericolo di vita. Per mesi non abbiamo saputo cosa veramente avesse Zeina e così abbiamo perso del tempo prezioso per aggredire il tumore. Tremila chilometri per arrivare fin qui quando appena fuori Gaza ci sono efficienti strutture ospedaliere che avrebbero potuto curare mia figlia», aggiunge ancora la mamma di Zeina.

Infine, «mio marito non è stato lasciato partire con noi e qui sto affrontando una prova difficile, che sarebbe difficile per chiunque anche in condizioni normali. Riesco a parlare con lui solo qualche volta al telefono. Abbiamo perso tutto: la nostra casa non c’è più, e con essa anche mio padre non c’è più, è stato ucciso dalle bombe israeliane», spiega.

Un corteo di auto della polizia si ferma davanti al portone del reparto pediatria. Ne scende una signora che rapidamente semina la scorta e sale le scale verso la stanza di Manar, di Zeina e della piccola Dana, che intanto gioca con la volontaria italiana Carla. È Varsen Aghabekian, la ministra degli Esteri dello Stato di Palestina. «Sono venuta a Roma per partecipare alla messa inaugurale del pontificato di Leone XIV, ma il mio viaggio non poteva dirsi compiuto se non fossi venuta anche a visitare queste mie connazionali sofferenti». L’accompagnano i due ambasciatori presso lo Stato italiano e presso la Santa Sede, che portano giocattoli e dolci per le bambine, e anche per un altro piccolo malato gazawi, di nome Saied e che è nella stanza accanto insieme alla madre.

A mamma Manar è invece molto gradito il piccolo regalo che offriamo: un sacchetto di za’atar, la spezia di timo che i palestinesi usano un po’ dappertutto. «Visitare queste bambine è anche un omaggio al nuovo Papa che ha iniziato il suo servizio con la parola “pace”», continua la ministra, di religione cristiana. Appare tuttavia paradossale e assurdo poter dire che questi bambini, pur nelle gravi condizioni in cui si trovano, siano fortunati rispetto alle migliaia di bambini che sono stati uccisi a Gaza: oltre 40 solo negli ultimi tre giorni. «Siamo molto grati al governo italiano per l’accoglienza che ha voluto dare a questi bambini e alle loro mamme — riprende Aghabekian —: l’Italia è il Paese europeo che si è dimostrato più solidale in questa tragedia, quasi 200 sono i bambini accolti qui. Numeri così alti li hanno offerti solo l’Egitto, il Qatar e altri Stati arabi». E mentre parliamo arriva in videochiamata da Gerusalemme anche la visita virtuale del padre Ibrahim Faltas, che tanto si è adoperato per attivare questi corridoi umanitari. «Ora dobbiamo affrontare con il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, un ulteriore problema importante che riguarda il permesso di soggiorno per quelli che sono stati dimessi dagli ospedali e che ovviamente non possono tornare a Gaza. E così anche per i ricongiungimenti familiari con i papà che sono rimasti a Gaza».

Alla fine la ministra trasmette a Manar gli auguri del presidente palestinese, Mahmoud Abbas, da Ramallah. «Ho quasi 30 anni e non sono mai uscita da Gaza. Non avrei mai immaginato che la prima volta sarebbe stato in Italia per curare mia figlia. «Mi sarei accontentata di vedere per la prima volta Gerusalemme, che è a soli 60 km da dove vivevo, ma Al Quds era un sogno per noi», dice Manar con gli occhi lucidi. Mentre Zeina saluta continuando a tirare bacini dal suo lettino.