Il rito zairese
per la festa della fede

SS. Francesco - Basilica Vaticana - Altare della Cattedra: Santa Messa per la Comunità Congolese  ...
31 gennaio 2023

Quella del 1° febbraio a Kinshasa non sarà la prima messa celebrata dal Papa con rito zairese. È già successo il 1° dicembre 2019, in occasione del venticinquesimo anniversario della cappellania cattolica congolese a Roma. Il rito zairese, in realtà, non è un vero e proprio rito a sé. Si tratta di un adattamento del rito romano per le diocesi della Repubblica Democratica del Congo, approvato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti il 30 aprile 1988, quando il Paese si chiamava ancora Zaire. L’obiettivo era incorporare la liturgia romana nella cultura africana, poiché i vescovi si erano resi conto che i fedeli non si sentivano abbastanza coinvolti. Per questo sono stati introdotti elementi più in linea con il sentire africano, anche allo scopo di favorire una maggiore partecipazione della comunità. Si tratta del frutto di un lungo processo di inculturazione della liturgia, iniziato con i pontificati di Paolo vi e di Giovanni Paolo ii fino ad arrivare a quello di Papa Francesco, che apprezza molto l’unicità e il valore aggregativo di questo rito.

Le maggiori differenze con il rito romano ordinario si possono notare all’inizio della messa e nella liturgia della Parola. Dopo la presentazione delle offerte, non ci sono differenze sostanziali. Uno dei momenti più suggestivi è il canto del Gloria, che può durare anche più di un quarto d’ora: tutta la comunità, sacerdote compreso, canta e balla. La Chiesa del Congo in genere non celebra mai l’Eucaristia senza ballare, perché, come afferma il videomessaggio di benvenuto della comunità congolese al Papa, «l’Eucaristia è la festa della fede». Per questo è molto comune che i partecipanti ballino anche intorno all’altare, con l’incensiere.

Prima del Vangelo, si recita il Credo. «Quando uno crede» e lo manifesta con questa preghiera, prosegue il video della comunità congolese, «può continuare il dialogo con il Signore» attraverso la lettura della sua Parola. Solo allora il sacerdote si avvicina al pulpito, di nuovo ballando e accompagnato dai lancieri e da altre due persone che portano le candele.

Generalmente, in Congo si recita il Vangelo in lingala, una delle quattro lingue in cui viene celebrato il rito zairese, oltre al kikongo, allo swahili e al tshiluba. Dopo l’omelia, «poiché il Signore mi ha parlato e io gli ho aperto il mio cuore e voglio convertirmi, è il momento di chiedere perdono» conclude il video.

La necessità delle Chiese centrafricane di impiegare nella liturgia musiche di origine locale iniziò a farsi sentire con maggiore intensità negli anni ’50. Fu allora che vennero composte intere messe utilizzando strumenti, lingue e schemi ritmici e melodici del luogo. Tale repertorio ottenne anche un riconoscimento ufficiale con il grande successo della Missa Luba, composta nel 1958 dal francescano belga Guido Haazen. A sua volta, nel 1959, il sacerdote cattolico Stephen B. G. Mbunga compose una messa Baba Yetu e nel 1963 pubblicò la sua tesi di dottorato Church Law and Bantu Music: Ecclesiastical Documents and Law on Sacred Music as Applied to Bantu Music, nella quale appoggiava e incoraggiava l’utilizzo della musica di origine africana nella liturgia cattolica, oltre a definire alcune direttive che i compositori africani avrebbero dovuto seguire per creare musica adatta. Queste iniziative facevano parte di un movimento di rinnovamento generale della liturgia in Africa, e si situavano in un clima di decolonizzazione. Quei primi tentativi sperimentali di utilizzare schemi ritmici e melodici locali all’interno della liturgia trovarono un riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa nel 1963 con la Sacrosanctum Concilium, una delle quattro costituzioni conciliari emanate dal concilio Vaticano ii . Adottata con 2158 voti a favore e solo 19 contrari, fu solennemente promulgata da Papa Paolo vi il 4 dicembre dello stesso anno.

Tra i ferventi sostenitori di questa apertura c’era il primo cardinale africano della storia, nominato da Papa Giovanni xxiii nel 1960: il tanzaniano Laurean Rugambwa. Durante i lavori del concilio, espresse le sue opinioni sulle nuove prospettive della musica sacra, sottolineando l’importanza di comporre musica di origine africana e proponendo la creazione di commissioni liturgiche composte da esperti di ogni area, con la missione di approvare o meno l’utilizzo di determinate composizioni. In questo senso, il caso del rito zairese può essere un ulteriore passo verso nuovi percorsi e processi di discernimento liturgico in cui le diverse specificità di ogni comunità, inserite in una cultura, con linguaggi e simboli propri, possano essere prese in considerazione senza alterare la natura del Messale Romano, che garantisce la continuità con la tradizione antica e universale della Chiesa. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, il Papa parla proprio dell’opportunità di raggiungere le diverse culture con la loro lingua. Ed esorta a superare la rigidità che «esclude e allontana», per giungere a «una sensibilità pastorale che accompagna e integra», perché «il cristianesimo non ha un unico modello culturale». Secondo Papa Francesco, grazie a quel messale «la Conferenza episcopale del Congo ha forgiato una personalità propria volendo pregare Dio, non per procura o con parole prese in prestito da altri, ma assumendo tutta la specificità spirituale e socio-culturale del popolo congolese, con le sue trasformazioni», come scrive nel prologo del libro Papa Francesco e il Messale Romano per le Diocesi dello Zaire, pubblicato dalla Libreria editrice vaticana e curato da suor Rita Mboshu Kongo, delle Figlie di Maria Santissima Corredentrice. «La liturgia deve toccare il cuore dei membri della Chiesa locale», aggiunge il Pontefice nel suo scritto, e senza dubbio la comunità locale ne sarà entusiasta. (silvina pérez)