Lectio magistralis a Siena sul dialogo interreligioso

Credenti di tutte le fedi
insieme per costruire la pace

 Credenti di tutte le fedi  insieme per costruire la pace   QUO-274
30 novembre 2022

Il dialogo tra le religioni può e deve essere una via per costruire la pace: sulla scia del magistero e dei recenti viaggi di Papa Francesco in Bahrein e in Kazakhstan, monsignor Lucio Sembrano, officiale del Dicastero per il dialogo interreligioso, ha rilanciato questa ferma convinzione nella lectio magistralis pronunciata ieri pomeriggio nella chiesa di San Vigilio a Siena. Alla presenza del cardinale arcivescovo Lojudice, il prelato è intervenuto in occasione dell’incontro in memoria di don Luigi Mori (1913-1997), a venticinque anni dalla morte del sacerdote senese impegnato nel campo delle relazioni con le altre fedi.

Dopo aver portato i saluti del cardinale prefetto Ayuso Guixot, l’officiale del Dicastero della Santa Sede ha preso spunto dal «contesto emergenziale nel quale viviamo. La pace — ha esordito — è violata in tante guerre che arricchiscono i mercanti d’armi e seminano disperazione e morte, aggravando le tensioni tra Paesi ricchi e nazioni in via di sviluppo».

Ecco allora l’urgenza di una diakonia culturale. «In questa situazione di confronti marcati tra culture, linguaggi e nazioni — ha spiegato Sembrano —, noi credenti appartenenti alle Chiese cristiane e alle altre tradizioni dobbiamo sforzarci di comprenderci l’un l’altro e di intraprendere un dialogo multiculturale». Esso, infatti, «apre alla scoperta dell’alterità come risorsa e non come minaccia da eliminare».

«Gli stranieri oggi — ha proseguito il relatore — esigono rispetto, ricordano l’attenzione ai diritti, soprattutto di chi è ne stato privato, alla cura di chi è stato emarginato nella gestione delle risorse, all’esercizio della salvaguardia dell’ambiente». Perché, ha sottolineato, «lo straniero è luogo rivelativo di Dio. La Bibbia è annuncio e sfida a instaurare una polis dell’alterità, dove l’accoglienza non sia solo un’eccezione, ma il principio stesso della co-esistenza umana». E di conseguenza «l’incontro con l’altro mi cambia la vita», specie quando egli «è l’assetato e l’affamato, l’impoverito, l’orfano, la vedova, il nemico». Così dalla misura dell’accoglienza si passa a quella del dono, traducendo «culturalmente la dimensione teologica della solidarietà e della compassione».

Dimensione che trova espressione nel “paradigma del Samaritano” la cui icona è a fondamento del ii capitolo dell’enciclica bergogliana Fratelli tutti, che esplicita in chiave cristiana il Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato dal Papa ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 con il Grande imam di Al Azhar.

Insomma l’ispirazione per il dialogo si trova nelle pagine del Vangelo, contenenti un «itinerario pedagogico di confronto, che conduce a un discernimento delle proprie intenzioni, dalla cui scelta possono scaturire lo scontro delle civiltà o la convivialità delle differenze».

Da qui l’esigenza di porre proprio il Vangelo a garanzia del dialogo interreligioso, il quale — ha fatto notare Sembrano — è sempre segnato da incontri trasformanti. Come testimonia «la storia dell’amicizia» tra Papa Francesco e il leader della massima istituzione accademica sunnita del Cairo. Si tratta dunque, ha raccomandato il relatore, di «praticare la convivialità per diventare credenti migliori» e di riportare alla luce la dimensione liberante di un cammino di dialogo. E qui viene in soccorso l’etica delle Beatitudini (Mt 5-7) come via interreligiosa alla pace. Le loro affermazioni paradossali «lasciano intravedere come la cultura sia essenzialmente culto e coltivazione della giustizia, della pace. Se la memoria di Cristo è paradigmatica, anche per le culture, lo è proprio in questa inversione sorprendente: la vita non è tenuta per sé, ma è valorizzata nel suo essere per l’altro».

Certo, ha osservato il prelato attualizzando la riflessione, gli atteggiamenti di fondo del Discorso della Montagna devono essere rielaborati per formare un’etica interreligiosa adeguata ai giorni nostri in materia di corsa agli armamenti, traffico di stupefacenti, tratta di donne e bambini, lobbies parlamentari, aborto e eutanasia, gender. «Ma una cosa — ha avvertito — è costruire dagli stessi principi fondamentali un’etica più adeguata a una situazione nuova, e un’altra è strutturare un’etica da principi interamente diversi sicché la base stessa della morale risulti cambiata. Questo si deve evitare nel dialogo interreligioso», poiché non sono più sostenibili le teorie delle guerre “giuste” o “sante”, specie da quando esistono le armi atomiche. L’accumulo delle quali — è stata la sua denuncia — pare a molti un mezzo di dissuasione, mentre «non assicura la pace»; invece «la soluzione alternativa, come ripete il Papa, passa attraverso i tavoli negoziali a tutti i livelli, sia diplomatico, sia ecumenico e interreligioso. Se gli fosse stato consentito, egli sarebbe volato a Mosca e a Kyiv per cercare d’indurre i belligeranti a deporre le armi».

In definitiva si tratta di passare dall’utopia all’eutopia, il «buon luogo» del regno di Dio «dentro di me». Infatti «una persona che vive una vita impegnata per il prossimo, piena di gioia nel presente e di speranza per il futuro, esercita un’attrazione». Così avvenne per tanti santi e per beati come Christian de Chergé, priore del monastero di Thibirine, rapito e martirizzato nel 1996 con gli altri sei trappisti della sua comunità, monaci che si autodefinivano “oranti in mezzo ad altri oranti” e pertanto esempi di come «l’eutopia del singolo diventa per contagio l’eutopia del gruppo».

Però, affinché «la testimonianza di fede possa portare frutto, anch’essa deve essere strutturata in un’organizzazione mondiale capace di combattere un contagio internazionale di peccato con un contagio internazionale di amore disinteressato!». E purtroppo «i governi si muovono lentamente, impacciati da gruppi di interessi egoistici». Quindi, questa “conversione” dovrebbe partire «dal livello individuale e dalle piccole comunità».

Da ultimo il relatore ha rievocato il magistero di san Giovanni xxiii, l’enciclica Pacem in Terris (1963), e ha concluso con alcune indicazioni che provengono da Fratelli tutti, in particolare l’ viii capitolo contenente un’esortazione alle religioni a porsi al servizio della fraternità. Facendo eco a Papa Roncalli, scrive infatti Francesco che «il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza» e che «non è accettabile che nel dibattito pubblico abbiano voce soltanto i potenti e gli scienziati». Esemplare in tale ottica è l’incontro del Poverello di Assisi col sultano quasi 800 anni fa: esso «non fu né diplomazia né tattica, ma misericordia». Dunque «siamo invitati a guardare oltre i nostri interessi, per impegnarci concretamente a costruire ponti di pace. Così facendo, scopriremo che tensioni e persino gruppi, un tempo considerati ostili, attraverso il dialogo possono far sbocciare un’unità multiforme che dà origine alla pace. Per la maggior parte dei contemporanei di Francesco, Dio era il Dio della potenza e della ricchezza, che giustificava le crociate. E tanti ancora oggi sono convinti che non ci sia alternativa al detto: Si vis pacem, para bellum! Ma l’eutopia cristiana insegna che c’è un’alternativa formidabile alla guerra, e quest’alternativa è l’amore», ha concluso Sembrano.

di Gianluca Biccini