Il cardinale Ouellet ai vescovi di recente nomina

Lotta agli abusi
e difesa del celibato

 Lotta agli abusi e difesa del celibato  QUO-217
22 settembre 2022

«Voi siete la luce del mondo; risplenda la vostra luce davanti agli uomini»: il passo evangelico che nel 2019 ha dato il titolo al motuproprio di Papa Francesco sul governo dei pastori in materia di abusi sessuali ha ispirato l’omelia del cardinale prefetto Marc Ouellet, durante la messa celebrata il 19 settembre in San Pietro in occasione del tradizionale corso organizzato dal Dicastero per i vescovi per i presuli nominati di recente. Pubblichiamo la riflessione del porporato.

Cari confratelli vescovi di recente nomina, cari amici,

coroniamo il nostro fraterno incontro in Roma con la Santa Eucaristia nella Basilica di San Pietro, cui seguirà un dialogo con Papa Francesco: due momenti forti che simbolizzano la grazia della nostra chiamata e della nostra missione. Il Signore ci ha scelti e abilitati per portare al mondo la luce del suo Vangelo. L’Eucaristia che celebriamo adesso ed ogni giorno, è la fonte permanente di questa luce; l’incontro con il Successore di Pietro ci dice che è insieme con lui, nella comunione fraterna e sacramentale cum et sub Petro, che la luce dell’Amore di Cristo si accresce in noi e risplende agli occhi del mondo intero. Rendiamo grazie a Dio per la nostra elezione, del tutto gratuita, e per la bellezza della nostra missione!

«Vos estis lux mundi» «Voi siete la luce del mondo». È il titolo del Motu Proprio di Papa Francesco del 2019 che tratta del governo dei vescovi in materia di abusi sessuali. Questa forte parola evangelica presiede in qualche modo alla vigilanza della Chiesa sull’integrità morale e la prudenza d’azione dei suoi pastori. A questo proposito, Papa Francesco conduce una lotta decisiva, al seguito del suo predecessore Benedetto xvi , per sradicare dal clero gli abusi scandalosi che hanno distrutto delle vite e inferto un grave colpo alla credibilità della Chiesa. Con il diventare vescovo, che significa etimologicamente guardiano o sorvegliante, noi assumiamo la nostra parte in questa lotta, al fine di garantire alle nostre comunità ambienti sani e protetti, ove la luce di Cristo possa irradiarsi in piena libertà. Questa vigilanza non è l’essenziale del nostro lavoro, ma senza di essa la radicalità del nostro annuncio e della nostra testimonianza sarebbe compromessa. Che ci sia data una grazia di forza e di coraggio per bene adempiere a questa difficile e dolorosa parte della nostra missione.

Attingiamo la grazia e le energie di cui abbiamo bisogno dal dono dello Spirito che abbiamo ricevuto con l’imposizione delle mani all’Ordinazione. Lo Spirito Santo ci unisce realmente, ontologicamente, alla Persona di Gesù, così che diventiamo i suoi vivi strumenti; ne consegue che mediante la grazia del sacramento è Lui che realizza attraverso di noi il suo ruolo di pastore. Non dimentichiamo mai che è la presenza oggettiva di Gesù in noi e non i nostri personali talenti, a fare la differenza e a rendere possibile il nostro servizio pastorale al popolo di Dio.

Nel contesto attuale, l’adesione dei chierici della Chiesa latina al celibato solleva una quantità di critiche: si assiste ad un proliferare di proposte di riforma o addirittura di abolizione. La ragione umana, sicura delle sue conquiste scientifiche, pretende di pervenire a questa diagnosi, ma sembra incapace di riconoscere la grazia che abita in noi. Ai giorni nostri la campagna contro il celibato dei preti è più forte che mai, ma Papa Francesco ha deciso di non modificare la disciplina della Chiesa latina in merito. Dobbiamo ringraziarlo di non cedere alle pressioni culturali, perché la testimonianza di una vita donata sull’esempio di Gesù è un’insostituibile risorsa per l’evangelizzazione.

Quando Gesù chiama i suoi Apostoli a lasciar tutto per seguirlo, la sua esigenza appare eccessiva ed esorbitante a molti che declinano l’invito; quelli che l’accettano sono toccati da una permanente grazia di fede nel mistero di Gesù, nella sua identità divina che sola può giustificare una simile esigenza. All’istante, il «sì» alla chiamata del Maestro a seguirlo in questa forma di vita diventa una confessione di fede nella sua Persona divina. Ecco perché quelli e quelle che seguono Gesù per amore del suo Nome evangelizzano con la loro scelta di stato di vita. Prima ancora d’ogni apostolato esplicito da parte loro, il loro stato di vita verginale è una confessione di fede che evangelizza. Occorre oggi dir questo tranquillamente e senza timore, nonostante gli eccessi e le mediocrità del clero o della vita religiosa. La Chiesa latina rispetta le altre tradizioni ecclesiali, ma ha validi motivi per conservare questa disciplina che proviene dalla tradizione apostolica e che garantisce la fecondità della sua attività missionaria. La luce del Verbo fatto carne non risplende forse nei ministri sacri che accettano con gioia d’esser segni viventi dello Sposo della Chiesa?

Il luogo per eccellenza delle nozze di Cristo e della Chiesa è il mistero eucaristico. Dopo l’ultima Cena del Signore e la sua Pasqua, lo Spirito del Risorto ha posto tra le mani degli Apostoli e dei loro successori la custodia di questo mistero. Quando noi pronunciamo le parole di Gesù: «Questo è il mio corpo», «Questo è il mio sangue», esse sono e restano sempre le Parole di Cristo pronunciate «una volta per tutte»; queste parole sacramentali restano sempre le stesse in ogni eucaristia celebrata dopo le origini. Solo lo Spirito Santo può unire così una Parola che è un atto d’Amore escatologico compiuto «una volta per tutte», con ogni celebrazione particolare della Chiesa in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Questa meraviglia è un mistero di fede insondabile, che rimane nascosto dentro umili riti. Noi non siamo proprietari di questo Atto d’Amore trascendente che ci raggiunge nel sacramento in modo puntuale e concreto; è lo Spirito Santo che ci possiede e si serve di noi per raggiungere i suoi universali fini salvifici. Quanto stupore e rendimento di grazie dovrebbero accompagnare la nostra contemplazione di questo mistero di comunione in cui il Cristo Sposo si dona alla Chiesa, sua sposa!

Cari amici, il Concilio Vaticano ii afferma che «nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua, lui il pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante dà vita agli uomini» (Presbyterorum ordinis 5). Come vescovi noi abbiamo la custodia di questo tesoro spirituale della Chiesa in vista di distribuirlo largamente al popolo di Dio in cammino, che ha grande necessità di questo sostegno lungo la strada. Il vescovo è assistito dal suo presbytérium per questa opera di salvezza, consapevole che la comunione eucaristica è la fonte e il culmine della comunione ecclesiale, così come il quotidiano alimento della fraternità sacramentale dei ministri ordinati.

Portiamo nella nostra offerta di questo giorno tutti quelli e quelle che sono affidati al nostro ministero pastorale, promettiamo ancora una volta di essere per tutti e tutte loro pastori secondo il cuore di Dio, ministri consapevoli dei loro limiti e dei loro errori, ma fiduciosi che la divina misericordia tocchi in primo luogo la nostra stessa miseria, al fine di renderci capaci di vivere per gli altri e per Dio.

Aggiungiamo tuttavia un’altra intenzione, che rimane una priorità nei riguardi della porzione del popolo di Dio che vi è affidata; penso alla vostra appartenenza al Collegio dei Vescovi, che vi associa alla responsabilità della Chiesa universale, cum et sub Petro; questa appartenenza vi impegna ad una collegialità episcopale affettiva ed effettiva, di fronte alle diverse correnti di pensiero vi impegna alla prudenza e alla fedeltà nel vostro insegnamento in nome della Chiesa. Preghiamo dunque per il Santo Padre e per l’insieme del Collegio episcopale, affinché la nostra testimonianza personale e comunitaria di carità e di unità sia una luce degna di Colui che ha detto: «Io sono la luce del mondo».