· Città del Vaticano ·

Hic sunt leones
Lo studioso della Tanzania contribuì alla maturazione della Chiesa del continente

Laurenti Magesa gigante
della teologia africana

 Laurenti Magesa gigante della teologia africana   QUO-200
02 settembre 2022

«La Chiesa africana ha davanti a sé un compito immenso: essa deve rivolgersi come una “madre e maestra” a tutti i figli di questa terra del sole; deve offrire loro un’interpretazione tradizionale e moderna della vita; deve educare il popolo alle forme nuove dell’organizzazione civile, purificando e conservando quelle della famiglia e della comunità; deve dare impulso pedagogico alle virtù individuali e sociali dell’onestà, della sobrietà, della lealtà; deve sviluppare ogni attività in favore del pubblico bene, la scuola specialmente, l’assistenza ai poveri e ai malati; deve aiutare l’Africa allo sviluppo, alla concordia e alla pace». Queste parole chiudono lo storico messaggio alla Chiesa africana formulato da papa Paolo vi a Kampala (Uganda) il 31 luglio 1969, a conclusione del The Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar (Secam). Sono trascorsi oltre cinquant’anni da quel discorso, che sancì ufficialmente la maturazione di una Chiesa continentale africana.

Lungi da ogni retorica, non v’è dubbio che il processo di comprensione e approfondimento di quanto formulato da Papa Montini, trovò nella figura di padre Laurenti Magesa uno straordinario interprete. Chi scrive ebbe modo di conoscerlo attraverso le sue opere durante gli studi di teologia al Ggaba National Seminary di Kampala negli anni ’80. Successivamente, lo incontrò in varie circostanze a Nairobi in Kenya e a Dar es Salaam in Tanzania dove si è spento l’11 agosto scorso. Esce dunque di scena una delle figure più significative della teologia africana come ha pertinentemente osservato il presidente della Jesuit Conference of Africa and Madagascar (Jcam), gesuita nigeriano, padre Agbonkhianmeghe Orobator: «Magesa è stato autore, co-autore e co-editore di numerosi libri rivoluzionari, come What is not Sacred? African Spirituality in cui ha esplorato brillantemente la bellezza della spiritualità della religione africana e il suo dono duraturo al cristianesimo come una luce, non un’ombra come intendevano raffigurarla gli insipienti o prevenuti misconoscendone la sua vera natura».

Magesa ebbe chiaro fin dall’inizio del suo percorso di riflessione teologica che l’inculturazione del messaggio evangelico rappresentava la via maestra per consentire alla Chiesa africana di farsi interprete delle istanze poste da Paolo vi in riferimento al «compito immenso» che l’attende. Padre Orobator, commemorando la figura di Magesa ha ricordato che nel suo primo incontro con il compianto teologo nel 2004, egli stava lavorando per la scrittura di un libro Anatomy of Inculturation: Transforming the Church in Africa. Questo è il commento di padre Orobator, pubblicato sul sito dell’Association of Member Episcopal Conferences in Eastern Africa (Amecea): «Mi diede la bozza da leggere. Il significato di quel saggio era istantaneo e inequivocabile: Magesa aveva scritto la magna carta della teologia africana dell’inculturazione. La combinazione della sua penetrante intuizione, della sua coinvolgente originalità e dell'analisi basata sull’evidenza ha ridefinito il significato e la pratica dell’inculturazione». Magesa nacque nel 1946 nella Tanzania settentrionale, lungo le sponde del Lago Vittoria. Frequentò la scuola primaria a Musoma e poi la scuola superiore al St. Mary's Seminary di Mwanza, diplomandosi nel 1968. Conseguì poi la laurea in teologia presso la Makerere University di Kampala, in Uganda, nel 1974, prima di conseguire un master e un PhD presso l’Università di Ottawa in Canada. Dal 1985 al 2000 ha svolto il suo ministero sacerdotale come parroco in diverse parrocchie cattoliche in patria nella diocesi di Musoma. Magesa ha pubblicato più di un centinaio di articoli accademici e numerosi saggi di teologia. Tra questi spiccano in particolare The Post-conciliar Church in Africa: No Turning Back the Clock (2016); What Is Not Sacred? African Spirituality (2013); African Religion in the Dialogue Debate: From Intolerance to Coexistence (2010), Rethinking Mission: Evangelization in Africa in a New Era (2006); Anatomy of Inculturation: Transforming the Church in Africa (2004); Christian Ethics in Africa (2002); African Religion: The Moral Traditions of Abundant Life (1997). Iniziò a insegnare alla fine degli anni ‘70 in varie istituzioni, sia in Tanzania che all’estero: dal Kipalapala Major Seminary di Tabora, in Tanzania all’Hekima University College della Compagnia di Gesù a Nairobi, alla Catholic University of Eastern Africa (Cuea), al Tangaza University College e al Maryknoll Institute of African Studies, tutti sempre a Nairobi. È stato anche scholar in residence e visiting scholar alla Xavier University di Cincinnati, nell’Ohio, al DePaul University in Chicago, e al Maryknoll School of Theology di New York. Nel 2014 ha anche ricevuto un dottorato honoris causa in Humane Letters dalla DePaul University.

Per chi ha avuto modo di conoscerlo personalmente, padre Magesa si è sempre manifestato come un teologo umile, scevro da ogni genere di lusinghe. Il suo pensiero è sempre stato attuale, creativo e ben argomentato, particolarmente apprezzato dal mondo missionario. Ricusava le polemiche e ha sempre coltivato un atteggiamento costruttivo e rispettava con garbo, in spirito dialogico, chiunque avesse una visione diversa dalla sua. È stato comunque unanimemente considerato un maestro nella riflessione teologica in Africa in vari ambiti. Oltre all’inculturazione e alla conoscenza delle religioni tradizionali africane, ha affrontato con sano realismo questioni relative all’etica e all’indagine teologica sulla figura di Cristo come liberatore e sul ruolo della chiesa africana in quanto agente di liberazione. L’ultimo contributo editoriale di padre Magesa — Viaggiare insieme nel servizio e nell’armonia: la Jamaa africana come modello per una Chiesa sinodale — risale allo scorso marzo per un volume intitolato A Pocket Companion to Synodality: Voices from Africa (African Synodality Initiative, 2022). Si tratta di una perla di saggezza incentrata su quanto auspicato da Papa Francesco in vista del prossimo sinodo dei vescovi in programma nel 2023. In questo testo Magesa ha esplorato con arguzia e sagacia il significato e la pratica della sinodalità nel perimetro delle culture africane.

Padre Probator ha ricordato giustamente come il pensiero di padre Magesa fosse «sempre lucido, originale e stimolante», e come «praticò l’arte di fare teologia con grazia, candore e integrità. Rispettava i suoi studenti e ricordava sempre che anche lui rimaneva sempre uno studente. Un uomo di comportamento umile». In un’intervista, a firma di padre Renato Kizito Sesana, pubblicata sul numero di maggio del 2000 del mensile Jesus, padre Magesa auspicò un qualcosa su cui forse anche oggi varrebbe la pena riflettere, soprattutto in considerazione di quanto sta avvenendo sul palcoscenico internazionale. «La Chiesa occidentale — disse padre Magesa — dovrebbe innanzitutto ascoltare quello che gli africani hanno da dire su Dio e Gesù Cristo, ascoltare con la mente libera da pregiudizi, ascoltare e imparare. E poi rispettare. Rispettare le culture dell’Africa, le sue tradizioni, la visione del mondo e della vita proprie di questa terra: è un grande monito che mette l’Occidente globalizzato e impregnato di cultura materialistica di fronte alla sfida della diversità come alternativa possibile, anche dal punto di vista spirituale, a un modello dominante». È evidente che la visione di Magesa ha sempre tenuto conto di quei principi dell’etica comunitaria, propria della società africana, che, alla luce del Vangelo, potrebbero essere un utile antidoto all’individualismo imperante nelle culture occidentali della post-modernità. Ecco che allora aprirsi alla teologia africana, in questa fase del cammino sinodale, sarebbe un esempio concreto di accoglienza dei saperi, contro ogni tipo di discriminazione; un’occasione che la Chiesa non deve perdere di fronte al mondo. Una cosa certa: Magesa passa ora il testimone ai giovani teologi e teologhe africani che hanno il compito da lui intrapreso di rendere sempre più intelligibile il Vangelo in un continente che anela al proprio riscatto, al riconoscimento e alla condivisione.

di Giulio Albanese