Bailamme

La tenerezza di un ossimoro

 La tenerezza di un ossimoro  QUO-200
02 settembre 2022

«Papà è la mia mamma. Mi nutre con marmellata di moretta e mousse di licheni. Mi costringe a ingoiare olio di fegato di pescecane, mi pulisce il naso e stende su di me le sue ampie ali nella cucina di casa, quella cucina che ha visto tante pagnotte nascere, tante torte lievitare».

Un padre bislacco, pittoresco, affettuosamente meticoloso e pignolo è l’uomo che si intravvede in questo folgorante incipit del romanzo Chiarori di Goran Tunström. Ma soprattutto sembra deliziosamente inconcepibile, anche se il corredo delle sue azioni è tutt’altro che un’astrazione. Negli occhi della memoria del figlio, che è poi l’Io narrante della storia, la sua figura a poco a poco rende ragione di quell’ossimoro con cui ci si manifesta. Un padre che è madre. Uno svelamento di amorosa profondità che è una sorta di sconfinamento, un’invasione illecita, sembrerebbe a molti, nei territori demarcati dalla fissità pigra dei ruoli. Un padre che è madre? Ma come? Legioni di sociologi certificano con indagini e risultati inappellabili l’eclissi della figura paterna, la sua irrevocabile e nefasta femminilizzazione. Ma è davvero un vicolo cieco dell’evoluzione postmoderna?

Qui invece lo sguardo profondo della letteratura ci racconta tutta un’altra storia in cui traspare la tenerezza stravagante e strampalata di un padre che stende le ali sulla vita del figlio e la colma di atti amorevoli, spiazzanti, elementari come il nettare il mocciolo, simbolici come l’iniziazione musicale in quella stessa cucina che ancora svela «una boscaglia di strumenti che continuano a cantare a lungo dopo che i vivi li hanno lasciati nell’angolo accanto ai fornelli. Mozart, Schubert, le quinte diminuite di Haydn».

Perché la vita non puoi tratteggiarla nitida con l’astratto e incompiuto codice dei dati statistici, le storie narrate invece ci svelano lo spazio sconfinato delle possibilità, lì dove un padre può essere madre e dove la musica permane realmente in un ambiente per lei eterodosso, ce lo fa vedere quel violino accantonato ma vivo accanto ai fornelli. Perché in fondo quel padre è madre in quanto la sua tenerezza abbraccia nella pienezza incondizionata del traboccare dell’amore la vita altrui e la rende fertile, si diffonde appunto come un’ala. Una tenerezza che non è una ratifica comoda di debolezza né illusorio smussamento degli spigoli ineludibili del mondo, non pretende di cambiarlo quel mondo, ma si offre con gesti che non possono essere ignorati, come la disponibilità al sorriso, alla consolazione, consapevole di prendere la vita per il bavero nascosto del suo abito di anonime consuetudini altrimenti alienanti. E soprattutto è uno dei pochi sentimenti che ritornano indispensabili sulla soglia, quando una gratuita carezza potrà colmare il sorriso spento di un anziano che si avvia all’ultimo volo. Proprio quella stessa ala che lo aveva protetto da bambino.

di Saverio Simonelli