In Polonia il cardinale Semeraro beatifica dieci religiose martiri

La loro intercessione ottenga il dono della pace

 La loro intercessione ottenga il dono della pace  QUO-133
11 giugno 2022

«Davanti alle scene di perpetrata violenza, di accanita crudeltà, di odio ingiustificato, avvertiamo il bisogno di alimentare il desiderio della pace e l’edificazione della concordia con gesti di carità, di apertura, di accoglienza e di ospitalità». Con questo riferimento alle «circostanze che stiamo vivendo oggi, nell’Europa del xxi secolo», il cardinale Marcello Semeraro ha riproposto l’attualità della testimonianza di suor Maria Paschalis e delle sue nove compagne martiri, proclamate beate nel corso della celebrazione eucaristica presieduta — a nome di Papa Francesco — sabato mattina, 11 giugno, nella cattedrale di Breslavia, in Polonia.

Nel clima di violenza e di sopraffazione della fase terminale della seconda guerra mondiale, la vicenda della dieci religiose della congregazione di Santa Elisabetta rappresenta «una parola d’amore, un segno di carità, di dedizione totale allo Sposo celeste». E la loro ricchezza spirituale «ci provoca e ci edifica» ha sottolineato il prefetto del Dicastero delle cause dei santi, ricordando poi le parole del Pontefice all’udienza generale del 2 marzo, mercoledì delle Ceneri, riguardo ai «dolorosi avvenimenti» provocati dal conflitto in Ucraina. In quell’occasione Francesco riservò un pensiero particolare proprio ai polacchi, «geograficamente tanto vicini ai teatri di queste barbarie», rivolgendo loro queste parole: «Per primi avete sostenuto l’Ucraina, aprendo i vostri confini, i vostri cuori e le porte delle vostre case agli ucraini che scappano dalla guerra. State offrendo generosamente a loro tutto il necessario perché possano vivere dignitosamente, nonostante la drammaticità del momento. Vi sono profondamente grato e vi benedico di cuore».

La pace, ha insistito Semeraro, «si costruisce mediante gesti concreti di carità disinteressata, si serve mediante la dedizione e la fedeltà quando ci è chiesto di prenderci cura degli altri». È questa la risposta concreta che, «accanto alla preghiera, ciascuno di noi può offrire davanti a tanta efferatezza, barbarie ed ingiustizia, di cui siamo testimoni». In questo senso le nuove beate «sono per noi di grande esempio». Non si può celebrare la loro beatificazione, ha evidenziato, senza ricordare la beatitudine pronunciata da Gesù: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».

Richiamando il senso del loro martirio, il porporato ha ripetuto le ultime parole pronunciate da una delle martiri: «Appartengo a Cristo, lui è il mio Sposo». In molti passi dell’Antico Testamento, ha ricordato, il Signore «ha utilizzato l’immagine dello sposo e della sposa per parlare di sé e del suo popolo», una nazione «scelta» perché «amata» e liberata dalla schiavitù. Anche attraverso «la vita santa e il martirio esemplare di Maria Paschalis Jahn e delle sue compagne» il Signore ha voluto dire agli abitanti di questa terra: «Tu sei per me un popolo amato, la tua speranza è la mia fedeltà, non ti ho abbandonato e mai ti abbandonerò».

Del resto, tutta l’esistenza delle religiose martiri, sull’esempio della loro cofondatrice e prima superiora generale, la beata Maria Luisa Merkert, fu «un vero dono di sé stesse nel servizio dei malati, dei piccoli, dei poveri, dei più fragili». La loro fu una carità «così disinteressata ed eroica che le trattenne, anche quando la fuga avrebbe loro evitato i rischi più grandi». A cavallo fra il 1944 e il 1945, infatti, nonostante le «brutalità e atrocità commesse dai militari sugli abitanti della Prussia orientale», le suore elisabettiane «decisero di rimanere nei villaggi invasi dai sovietici». Scrissero in una lettera del marzo 1945: «Secondo noi è nostro dovere restare a fianco di queste persone bisognose». La «radicalità della loro adesione a Cristo, il loro donarsi in maniera totale e con cuore indiviso a Dio e al prossimo, trovò proprio in questi frangenti la sua massima espressione». E così andarono incontro alla morte «con l’eroica fortezza» di cui hanno raccontato molti testimoni.

Per amore, suor Paschalis Jahn e le sue compagne vollero «con il martirio difendere la loro verginità e castità». Se anche «negli slogan e nei discorsi del mondo in cui viviamo pare non esserci posto per parole come queste», ha evidenziato il prefetto, «non possiamo lasciarci portare via il tesoro del loro significato». Le nuove beate sono infatti «l’ultimo anello di una lunga catena, lunga quanto tutta la tradizione della Chiesa». Già i primi padri «esaltavano la verginità consacrata e l’amore casto delle vergini». Casto è infatti «l’amore gratuito per eccellenza, che fa dono totale di sé» e «per sé non trattiene nulla». L’esempio delle dieci religiose, così «limpido e trasparente, si oppone a tanto offuscamento sull’amore umano». Ricorda a tutti, in particolare ai giovani, di quale amore è in cerca il cuore dell’uomo.

Nel contemplare l’esempio di queste donne «forti e sincere», ha detto ancora Semeraro, «tutti possono riscoprirsi chiamati a un amore vero, sollecito e gratuito»: quello che il Catechismo della Chiesa cattolica definisce «vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano». E come non vedere «risplendere in queste martiri la dignità della donna, che nel disegno della Redenzione ha in Maria Santissima il riconoscimento più grande»? A questo proposito il porporato ha ricordato le parole con cui Giovanni Paolo ii, in occasione dell’Anno mariano del 1981, concludeva la sua lettera apostolica Mulieris dignitatem: «La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del “genio” femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e nazioni». Da qui la preghiera di intercessione rivolta alle nuove beate perché «non vengano mai più a mancare a questo mondo il rispetto della femminilità, l’uguaglianza nella dignità fra l’uomo e la donna, la tutela della maternità».

Riferendosi infine al brano del Vangelo di Matteo in cui si narra l’episodio delle dieci vergini che presero le loro lampade e andarono incontro allo sposo, il cardinale ha ricordato — con le parole di san Basilio Magno — che il significato dell’olio custodito dalle cinque donne sagge è «ogni giorno e ogni ora essere pronti nel compiere pienamente la volontà di Dio». Questa volontà fu, «per le dieci vergini divenute oggi beate, il compimento col martirio della loro piena donazione nell’amore. A differenza delle vergini della parabola, tutte e dieci, con il carattere e il tratto propri di ciascuna, abbracciarono le atrocità delle sofferenze, l’efferatezza delle umiliazioni e andarono incontro alla morte». E ora che «la loro santità viene riconosciuta dalla Chiesa, ci sono donate come strumenti di intercessione presso Dio».

Il cardinale ha concluso affidando alla Vergine Maria, Regina della Polonia, la santa Edith Stein, che nacque proprio a Breslavia, e alle dieci nuove beate «i nostri bisogni e le nostre preoccupazioni, le nostre speranze e i nostri propositi. A loro raccomandiamo oggi, in particolare, il popolo ucraino, i migranti e le nostre aspirazioni di pace».