Sierra Leone

La guerra non ha amputato la speranza

Members of a Single Leg Amputee Sports Association football rest ahead of a training session in ...
11 giugno 2022

Si chiamano Sheku, Lahai, Zainab e in comune non hanno solo la passione per il calcio. Hanno perso un arto per via di una delle più feroci guerre civili africane, quella che sconvolse la Sierra Leone dal 1991 al 2002, con un bilancio di almeno 50.000 vittime. Fanno parte della Single Leg Amputee Sports Association, realtà aggregativa nata subito dopo la fine del conflitto che oggi coinvolge una settantina di giocatori, tra cui una dozzina di donne, tutti privi di un braccio o di una gamba, persi non solo a causa delle violenze ma anche per malattie o incidenti stradali.

Sheku aveva solo 12 anni quando i ribelli attaccarono il villaggio in cui viveva nel distretto settentrionale di Tonkolili. I medici sacrificarono la sua gamba per salvarlo dalla cancrena. Oggi ha una protesi, fa il sarto a Freetown e gioca a calcio, allenato da Lahai, anch’egli colpito dal fuoco dei miliziani all’inizio della guerra. I ribelli del Ruf, il Fronte unito rivoluzionario, che non si facevano scrupolo ad arruolare anche i bambini per i loro fini, usavano le amputazioni per seminare il terrore nel Paese e controllare le sue miniere di diamanti.

In uno dei Paesi più poveri al mondo, al 182° posto per indice di sviluppo umano secondo l’Onu, la metà della popolazione sierraleonese vive con meno di 1,25 dollari al giorno. Per chi affronta una disabilità, le condizioni sono ancora più difficili. Eppure giocare a calcio sulla Lumley Beach, nella zona ovest di Freetown, ha dato «ispirazione, forza e felicità» a Sheku, com’egli stesso racconta, e una motivazione speciale a Lahai: «Dio — riflette l’allenatore — mi ha fatto sopravvivere alla guerra per potere sposare Zainab». È la sua fidanzata, calciatrice della medesima squadra.

di Giada Aquilino