A Modena il cardinale Semeraro beatifica il martire don Luigi Lenzini

La santità dei tempi difficili

 La santità dei tempi difficili  QUO-122
30 maggio 2022

«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita»: parole tratte dal brano evangelico di Giovanni che ben si adattano alla figura di don Luigi Lenzini, martire della fede. A beatificarlo sabato pomeriggio, 28 maggio, in piazza Grande a Modena, è stato il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, in rappresentanza di Papa Francesco.

Gesù, ha spiegato all’omelia il porporato, «parla di sé e dei pastori della Chiesa», come commentava sant’Anselmo d’Aosta, il quale aggiungeva: «Ciascuno di noi deve essere pastore; non, però, un qualsiasi pastore, ma un buon pastore!». Su cosa, allora, mettere l’accento? Sulla figura del «pastore» o sulla qualifica di «buono»? Di pastori, ha ricordato il prefetto, anche nella Bibbia ce ne sono tanti, ma di alcuni fra loro il profeta Ezechiele «dice che invece di pascolare il gregge, pascolano se stessi e che invece di mettersi al servizio delle pecore, pongono le pecore al proprio servizio». Non basta, allora, essere pastori, per «essere apprezzabili, meritevoli di attenzione e di lode».

Qual è, dunque, la discriminante che Gesù intende sottolineare per individuare il pastore «vero»? È lo stesso Gesù a dirlo: «la sua disponibilità a dare la propria vita per quella delle pecore». In proposito, ha ricordato il cardinale, san Bonaventura «scelse un vero gioco di parole»: il pastor è pastus, ossia è buono quando diventa egli stesso «pasto», cioè «nutrimento spirituale per le sue pecore». È una prospettiva utile per riflettere sulla figura del nuovo beato, che come pastore «istruì il popolo cristiano curando il catechismo dei bambini e l’insegnamento della religione nella scuola elementare», predicando «con una parola semplice e convincente». Come pastore «nutrì i fedeli con la celebrazione della santa messa e portando il viatico agli infermi; egli, a sua volta, si nutriva con l’adorazione prolungata dell’Eucaristia». Il nuovo beato fu «sollecito verso i poveri, mostrandosi sempre pronto nelle opere di carità, nell’aiuto a chi era nel bisogno e nel conforto per chi era nell’afflizione».

San Gregorio Magno, ha spiegato Semeraro, offre un valido criterio di discernimento per valutare l’autenticità e il valore di un pastore: «In tempi tranquilli tengono in genere la custodia del gregge sia il pastore autentico sia il mercenario. Sono i tempi difficili che ci svelano l’animo di chi esercita il compito del pastore». Se si prescinde da questo criterio, don Lenzini sarebbe solo un buon prete; anche «discutibile per alcuni aspetti del suo carattere» e tuttavia «molto severo e tanto buono», come disse di lui un testimone. Furono, però, i «tempi difficili», di cui parlava san Gregorio Magno, a svelare che don Luigi era «pastore autentico e non mercenario»; furono i «tempi difficili» a svelare che quella normalità era eccezionalità.

Il nuovo beato fu «rigoroso nella propria vita di sacerdote e nella sua missione di parroco», ma fu anche molto umano e semplice nella vita “ordinaria”: suscitava simpatia «nel suo gusto di giocare a briscola e di condividere all’osteria un bicchiere di buon vino», anche se questo gli procurò qualche fastidio col suo vescovo. Fu, però, questa vita «normale» a renderlo «pronto» quando «la tristezza del momento e la crudeltà umana fecero scempio del suo corpo». E la Chiesa oggi lo dichiara «martire», ha evidenziato il prefetto, perché riconosce che la sua «esecrabile uccisione fu decisa ed eseguita in odium fidei, per eliminare un sacerdote cattolico».

Con il cardinale hanno concelebrato, tra gli altri, l’arcivescovo di Modena-Nonantola, Erio Castellucci, e molti vescovi dell’Emilia-Romagna, oltre ai parroci — accompagnati da numerosi fedeli — delle zone appenniniche, come Fiumalbo, dove don Lenzini nacque, e Pavullo, dove venne barbaramente ucciso.