Il magistero

 Il magistero  QUO-068
24 marzo 2022

Venerdì 18

La guerra sconfitta
dell’umanità

Noi siamo abituati a sentire notizie delle guerre, ma lontane. Siria, Yemen... Adesso la guerra si è avvicinata, è a casa nostra, praticamente. E questo ci fa pensare sulla “selvaticità” della natura umana. Assassini dei nostri fratelli.

Quando uno pensa all’educazione pensa a bambini, ragazzi.

Pensiamo a tanti che sono inviati al fronte, giovanissimi, soldati russi, poveretti. Pensiamo a tanti soldati giovani ucraini; pensiamo agli abitanti, le giovani, bambini, bambine.

Il Vangelo ci chiede soltanto di non guardare da un’altra parte, che è proprio l’atteggiamento più pagano dei cristiani.

Il cristiano, quando si abitua a guardare da un’altra parte, lentamente diventa un pagano travestito.

Cosa faccio io? Prego? Digiuno? Faccio penitenza? O vivo spensieratamente?

Una guerra sempre è la sconfitta dell’umanità, sempre.

Noi, colti, che lavoriamo nell’educazione, siamo sconfitti da questa guerra. Non esistono le guerre giuste!

Vorrei proporvi una breve riflessione a partire dal Vangelo della liturgia di oggi, la parabola dei vignaioli omicidi.

Gesù mette in guardia dalla tentazione del possesso.

Quando l’uomo rinnega la propria vocazione di collaboratore dell’opera di Dio e presume di mettersi al suo posto, perde la dignità di figlio e si trasforma in nemico dei fratelli. Si trasforma in Caino.

I beni del creato sono offerti a tutti e a ciascuno in proporzione dei bisogni, perché nessuno accumuli il superfluo.

Al contrario, quando il possesso egoistico riempie i cuori, le relazioni e le strutture politiche e sociali, allora l’essenza della democrazia è avvelenata.

Diventa una democrazia formale, non reale.

Il totalitarismo e il secolarismo sono degenerazioni della democrazia.

Esercitando una sopraffazione ideologica, lo Stato totalitario svuota i diritti fondamentali della persona, fino a sopprimere la libertà.

Il secolarismo radicale, a sua volta ideologico, deforma lo spirito democratico in maniera più subdola: eliminando la dimensione trascendente, esso indebolisce, e a poco a poco annulla, ogni dialogo.

Se non esiste una verità ultima, le idee e le convinzioni umane possono essere facilmente sfruttate per scopi di potere.

C’è differenza fra una sana laicità e un avvelenato laicismo.

A queste degenerazioni, avete opposto il potere trasformante dell’educazione. In alcune Università avete avviato attività di formazione, per educare alla democrazia.

Condivido alcune proposte: alimentare nei giovani la sete della democrazia, aiutarli a capire e apprezzare il valore di vivere in un sistema democratico, sempre perfettibile ma capace di tutelare la partecipazione dei cittadini, la libertà di scelta, di azione e di espressione.

Insegnare che il bene comune è impastato con l’amore. Non può essere difeso con la forza militare. Una comunità o una nazione che voglia affermarsi con la forza lo fa a danno di altre e diventa fomentatrice di ingiustizie, disuguaglianze e violenze.

Educare a vivere l’autorità come servizio... nella famiglia, nel lavoro, nella vita sociale. Esercitare l’autorità non è facile: Dio ci affida certi ruoli non per l’affermazione personale.

Sono tre percorsi educativi [che] chiedono di essere portati avanti con coraggio e creatività.

Nel contesto provocato dalla guerra in Ucraina... la preghiera per la pace va accompagnata da un paziente impegno educativo, affinché i ragazzi e i giovani maturino la consapevolezza che i conflitti non si risolvono con la violenza e la sopraffazione, ma con il confronto e il dialogo.

(Discorso alla Fondazione “Gravissimum Educationis”)

Fermare
il conflitto
e l’immane
tragedia
umanitaria

Ciò che stiamo vivendo in queste ultime settimane non è quello che speravamo dopo la difficile emergenza sanitaria provocata dalla pandemia.

La tragedia della guerra che si sta consumando nel cuore dell’Europa ci lascia attoniti; mai avremmo pensato di rivedere simili scene che ricordano i grandi conflitti del secolo scorso.

Il grido straziante d’aiuto dei nostri fratelli ucraini ci spinge come credenti non solo a una seria riflessione, ma a piangere con loro e a darci da fare per loro; a condividere l’angoscia di un popolo ferito.

Il sangue e le lacrime dei bambini, le sofferenze di donne e uomini che stanno difendendo la propria terra o scappando dalle bombe scuotono la nostra coscienza.

Ancora una volta l’umanità è minacciata da un abuso perverso del potere e degli interessi di parte, che condanna la gente indifesa a subire brutale violenza.

Ringrazio per la sollecita e corale risposta nel soccorrere quella popolazione, garantendole aiuti, accoglienza e ospitalità.

Esorto a continuare a pregare, affinché quanti detengono le sorti delle Nazioni non lascino nulla di intentato per fermare la guerra e porre fine all’immane tragedia umanitaria che sta provocando.

Il titolo L’Europa oltre la pandemia: un nuovo inizio, invita riflettere sulla transizione in atto nella società europea.

Questo tempo ha provocato notevoli cambiamenti. In questa situazione segnata dalla sofferenza sono cresciute le paure, è aumentata la povertà e si sono moltiplicate le solitudini; mentre tanti hanno perso il lavoro e vivono in modo precario, per tutti è mutato il modo di relazionarsi.

Anche la vita ecclesiale non è stata risparmiata da difficoltà, dovute alla limitazione delle attività pastorali.

Non possiamo starcene con le mani in mano. L’Europa e le Nazioni che la compongono non si oppongono tra loro e costruire il futuro non significa uniformarsi, ma unirsi nel rispetto delle diversità.

Occorre ripartire dal cuore stesso del Vangelo. Lo esprime bene l’immagine che avete scelto come logo: san Martino di Tours che taglia in due il suo mantello per donarlo a un povero.

Ricorda che l’amore è prossimità concreta, condivisione, cura per l’altro.

Chi ama supera la paura e la diffidenza nei confronti di quanti si affacciano alle nostre frontiere in cerca di una vita migliore: sa accogliere, proteggere, accompagnare e integrare tanti fratelli che scappano da conflitti, carestie e povertà.

Si trasformino i muri ancora presenti in Europa in porte di accesso al suo patrimonio di storia, di fede, di arte e cultura; si promuovano il dialogo e l’amicizia sociale, perché cresca una convivenza umana fondata sulla fraternità.

(Messaggio al presidente del CCEE in occasione delle Giornate Sociali Cattoliche Europee, Bratislava, 17-20 marzo)

Comunione partecipazione e missione

La Parola-guida dei vostri lavori è stata quell’annotazione che l’evangelista Matteo pone a conclusione dell’episodio dei Magi: «E per un’altra strada fecero ritorno...».

Avete fatto riferimento anche ai discepoli di Emmaus, i quali, dopo aver incontrato il Signore, tornarono a Gerusalemme completamente cambiati.

La strada era la stessa, ma era “un’altra”: non più la via del tramonto, ma quella di un’alba nuova; non più la strada della tristezza senza speranza, senza futuro, ma un’altra, nuova, piena di stupore, di gratitudine, anche di pentimento per il proprio cuore lento a credere, ma leggera e dolce.

Gli Istituti di vita consacrata sono depositari di un grande patrimonio e di una ricca tradizione di sinodalità: camminare insieme, con Cristo e nello Spirito, costituisce l’essenza della vita religiosa.

Occorre sempre nuovamente attingere da queste fonti di partecipazione fraterna; non chiudersi in circoli stretti; non lasciarsi guidare da interessi personali o egoistici.

Questo è diverso della tentazione propria di quando siamo in comunità. Fuggite dalle chiacchiere, sono la peste!

Vorrei soffermarmi su questo stile di comunione, di partecipazione e di missione.

Da Santa Paola Frassinetti, la vostra Fondatrice, possiamo imparare. Lei infatti, che non aveva frequentato la scuola, ebbe l’ardimento di dar vita nella Chiesa a una Congregazione votata all’educazione.

Lei ha ricevuto il carisma di “evangelizzare educando ed educare evangelizzando”. E nella misura in cui siete fedeli a questa missione voi siete nella Chiesa una presenza generativa.

In questo momento della storia segnato da una crisi pesante, prima con la pandemia del Covid-19 e in questi giorni con una guerra che ferisce tutti, vi esorto a proseguire con slancio il vostro cammino.

(Al capitolo delle suore di Santa Dorotea)

Sabato 19

La pace
è l’armonia delle
differenze

Buona festa di San Giuseppe a tutti! Sono contento di festeggiarla con voi, con i vostri canti che danno speranza, anche nei momenti difficili, come questo che stiamo vivendo adesso a causa della guerra.

Sono arrivati già a Roma, al “Bambino Gesù”, alcuni bambini che sono feriti. Noi, qui a li aiutiamo a guarire.

Vorrei dedicare questo incontro ai bambini e ai ragazzi dell’Ucraina.

Voi unite le generazioni... le vostre canzoni piacciono ai piccoli e ai grandi, specialmente ai nonni.

C’è bisogno di legare le diverse generazioni; in particolare di favorire il dialogo tra gli anziani e i più giovani.

Spero che lo facciate anche nella vita quotidiana, andando a trovare i nonni.

Quando andrete, non parlate sempre voi; lasciare parlare i nonni per ascoltarli. O state a guardare la televisione o il telefonino, senza ascoltare? Questo è brutto!

Vi do un consiglio: chiedete al nonno o alla nonna di raccontarvi qualcosa della loro vita. Fate a loro delle domande, ascoltateli. Scoprirete dei tesori, nascosti nella loro memoria.

Sono ricordi, ma anche pensieri di saggezza, a volte di fede, che hanno maturato nel cammino della vita; e sono preziosi, specialmente per voi, che state crescendo.

Questo si chiama avere delle buone radici! Voi siete come germogli. Ma senza radici, la pianta non cresce!

Sono contento che questo nostro incontro sia capitato nella festa di San Giuseppe, perché lui ci insegna che nessuno di noi è un’isola, ma facciamo parte di un popolo, il popolo di Dio.

E, grazie a Gesù, al suo amore immenso che ci ha donato sulla Croce, questo popolo accoglie uomini e donne di tutte le lingue, di tutte le nazioni, di tutte le culture. Come un grande, grandissimo coro!

Voi fate questa bella esperienza di cantare insieme, di creare armonia con la varietà delle vostre voci.

Se fossero tutte uguali, tutte identiche, che coro sarebbe? Noiosissimo e brutto.

Che musica verrebbe fuori? Niente. Non ci sarebbe nessuna armonia. Invece noi siamo tutti diversi e da questa diversità possiamo formare una sinfonia di voci. Per formare una sinfonia di popoli.

È importante che tutti i popoli cantino insieme, che ci sia la pace. E questa è la pace [che] non appiattisce le differenze; la pace è l’armonia delle differenze.

(Udienza al Piccolo coro dell’Antoniano di Bologna)

Cogliere
le esigenze
dei tempi

Gioisco con voi per questo significativo traguardo, che segna l’inizio di un Anno giubilare, nel ricordo del cammino compiuto dalla vostra Famiglia religiosa, fondata a Torino da San Leonardo Murialdo il 19 marzo 1873.

È come un risalire alle sorgenti per attingervi energie nuove per il futuro; ma è anche l’occasione per fare memoria grata al Signore e chiedergli con fiducia che continui a benedire la Congregazione, sostenendone il carisma, volto all’educazione della gioventù, e conformandolo all’oggi secondo la volontà dello Spirito.

San Leonardo seppe cogliere le problematiche presenti a Torino nell’Ottocento [e] offrire rimedi efficaci.

Prese a cuore la gioventù povera e abbandonata, aiutando i ragazzi non solo a fronteggiare bisogni immediati, ma a prepararsi un futuro attraverso l’istruzione e l’apprendimento di un mestiere.

La lungimiranza caratterizzò anche il suo impegno a favore dell’emergenza sociale legata al mondo operaio.

Si aprivano scenari imprevisti a cui seppe rispondere con opere rinnovate.

Lo fece lasciandosi guidare da una sapienza antica e sempre attuale, quella di San Giuseppe. Ispirandosi a lui, si dette da fare in umiltà e carità, esortando ogni Congregato a essere amico, fratello e padre dei giovani bisognosi.

In questi centocinquant’anni la Congregazione è stata generosa nella missione. Oggi opera in vari ambiti, che vanno dalla cura parrocchiale all’accoglienza dei piccoli, alla gestione di case famiglie e oratori.

Un campo di lavoro ampio e impegnativo in cui ad antiche sfide se ne sono aggiunte molte nuove.

Vi auguro di approfondire, alla scuola del Fondatore, l’arte di cogliere le esigenze dei tempi e di provvedervi con la creatività dello Spirito Santo.

Vi raccomando in particolare i più giovani, i quali, oggi più che mai, hanno bisogno di testimoni credibili.

Lasciatevi guidare dall’esempio mite e concreto di San Giuseppe; come lui accogliete la grande chiamata a essere padri dediti per la gioventù di oggi.

(Lettera alla congregazione di san Giuseppe)

Domenica 20

Dio ti guarda come
il migliore
dei papà

Siamo al cuore del cammino quaresimale e il Vangelo presenta Gesù che commenta alcuni fatti di cronaca.

Mentre era vivo il ricordo di diciotto persone morte sotto il crollo di una torre, gli raccontano di alcuni Galilei che Pilato aveva fatto uccidere.

E c’è una domanda che sembra accompagnare queste tragiche notizie: di chi è la colpa? Forse quelle persone erano più colpevoli di altre e Dio le ha punite?

Sono interrogativi sempre attuali; quando la cronaca nera ci opprime e ci sentiamo impotenti dinanzi al male, viene da chiedersi: si tratta di un castigo di Dio?

È Lui a mandare una guerra o una pandemia per punirci dei nostri peccati? E perché non interviene?

Dobbiamo stare attenti: quando il male ci opprime rischiamo di perdere lucidità e, per trovare una risposta facile finiamo per incolpare Dio.

La brutta e cattiva abitudine delle bestemmie viene da qui.

Quante volte attribuiamo a Lui le nostre disgrazie, attribuiamo le sventure del mondo a Lui che, invece, ci lascia sempre liberi e dunque non interviene mai imponendosi, solo proponendosi; a Lui che non usa mai violenza e, anzi, soffre per noi e con noi!

Gesù rifiuta e contesta con forza l’idea di imputare a Dio i nostri mali: quelle persone fatte uccidere da Pilato e quelle morte sotto la torre non erano più colpevoli di altre e non sono vittime di un Dio spietato e vendicativo, che non esiste!

Da Dio non può mai venire il male. Ma invece di incolpare Dio, dice Gesù, bisogna guardarsi dentro: è il peccato che produce la morte; sono i nostri egoismi a lacerare le relazioni; sono le nostre scelte sbagliate e violente a scatenare il male.

A questo punto il Signore offre la vera soluzione. La conversione.

È un invito pressante, specie in questo tempo di Quaresima. Accogliamolo.

Gesù, però, sa che convertirsi non è facile, e vuole aiutarci. Allora ci incoraggia con una parabola che racconta la pazienza di Dio.

Ci offre l’immagine consolante di un albero di fichi che non porta frutti nel periodo stabilito, ma che non viene tagliato: gli si un’altra possibilità. A me piace pensare che un bel nome di Dio sarebbe “il Dio di un’altra possibilità”..

Il Signore non ci taglia fuori dal suo amore, non si perde d’animo, non si stanca di ridarci fiducia con tenerezza.

(Angelus in piazza San Pietro)

Mercoledì 23

Gli anziani
sono memoria e testimonianza della rabbia della guerra

Nella bibbia, il racconto della morte del vecchio Mosè è preceduto dal suo testamento spirituale, chiamato “Cantico di Mosè”.

Questo Cantico è in primo luogo una bellissima confessione di fede (Dt 32, 3-4). Ma è anche memoria della storia vissuta con Dio, delle avventure del popolo che si è formato.

Dunque Mosè ricorda anche le amarezze e le delusioni di Dio stesso: la Sua fedeltà messa continuamente alla prova dalle infedeltà del popolo.

Mosè aveva centoventi anni, annota il racconto, «ma gli occhi non gli si erano spenti». Quella capacità di vedere realmente e anche simbolicamente, come hanno gli anziani, che sanno il significato più radicato delle cose.

La vitalità del suo sguardo è un dono: gli consente di trasmettere l’eredità della sua lunga esperienza con lucidità.

I vecchi vedono la storia e trasmettono la storia.

L’ascolto personale e diretto del racconto della storia di fede vissuta, con tutti i suoi alti e bassi, è insostituibile.

Leggerla sui libri, guardarla nei film, consultarla su internet, per quanto utile, non sarà mai la stessa cosa.

Questa trasmissione concreta dal vecchio al giovane manca molto oggi, e sempre di più, alle nuove generazioni.

Perché questa civiltà nuova ha l’idea che i vecchi sono materiale di scarto, vanno scartati. Questa è una brutalità!

Un vecchio che ha vissuto a lungo, e ottiene il dono di una lucida e appassionata testimonianza della sua storia, è una benedizione insostituibile.

Io posso dare una testimonianza personale. L’odio e la rabbia alla guerra io l’ho imparata da mio nonno che aveva combattuto al Piave nel 1914.

Lui mi ha trasmesso questa rabbia alla guerra. Perché mi raccontò le sofferenze.

E questo non si impara né nei libri né in altra maniera... è insostituibile.

Nella nostra cultura, così “politicamente corretta”, questa strada appare ostacolata in molti modi: nella famiglia, nella società, nella stessa comunità cristiana.

Qualcuno propone addirittura di abolire l’insegnamento della storia, come un’informazione superflua su mondi non più attuali, che toglie risorse alla conoscenza del presente.

Certo, le storie della vita vanno trasformate in testimonianza, e la testimonianza dev’essere leale.

Non è leale l’ideologia che piega la storia ai propri schemi; non è leale la propaganda, che adatta la storia alla promozione del proprio gruppo; non è leale fare della storia un tribunale in cui si condanna tutto il passato e si scoraggia ogni futuro.

Essere leale è raccontare la storia come è, e soltanto la può raccontare bene chi l’ha vissuta.

Ci farà bene chiederci: quanto valorizziamo questo modo di trasmettere la fede, nel passaggio del testimone fra gli anziani della comunità e i giovani che si aprono al futuro?

La fede si trasmette in dialetto, cioè nel parlato familiare, fra nonni e nipoti, fra genitori e nipoti.

Per questo è tanto importante il dialogo in una famiglia, il dialogo dei bambini con i nonni che sono coloro che hanno la saggezza della fede.

Sarebbe bello che ci fosse, fin dall’inizio, negli itinerari di catechesi, anche l’abitudine di ascoltare, dall’esperienza vissuta degli anziani, la lucida confessione delle benedizioni ricevute da Dio, che dobbiamo custodire, e la leale testimonianza delle nostre mancate fedeltà, che dobbiamo riparare e correggere.

Ai polacchi

Quest’anno, nel cammino di penitenza quaresimale, digiuniamo e chiediamo a Dio la pace, sconvolta dalla guerra in corso in Ucraina.

In Polonia, voi ne siete testimoni accogliendo i rifugiati e ascoltando i loro racconti.

Mentre ci prepariamo a vivere un giorno speciale di preghiera nella solennità dell'Annunciazione del Signore, chiediamo che la Madre di Dio sollevi i cuori dei nostri fratelli e sorelle afflitti dalla crudeltà della guerra.

L’atto di consacrazione dei popoli al suo Cuore Immacolato porti pace al mondo.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )