Oggigiorno emerge più che mai l’esigenza di porre al centro del dibattito pubblico una riflessione concernente il senso del vivere comune. Il cittadino, in quanto persona umana, è un soggetto relazionale, la cui identità si arricchisce nel continuo rapporto con le altre persone: il proprio bene, infatti, è identificabile solo nella consapevolezza dei beni comuni (A. MacIntyre), che — a loro volta — richiedono un ragionamento comune circa ciò che è bene essere ed è bene amare (C. Taylor). Si tratta di sviluppare una riflessione condotta nell’ambito della naturale socievolezza dell’uomo, che, lungi dal costituire un rischio nei confronti della convivenza democratica, offre — anzi — quella linfa vitale senza la quale la democrazia si trasformerebbe in una “repubblica procedurale” (M. Sandel).
All’interno di questa prospettiva «non è necessario contrapporre la convenienza sociale, il consenso, e la realtà di una verità obiettiva» dal momento che «tutt’e tre possono unirsi armoniosamente quando, attraverso il dialogo, le persone hanno il coraggio di andare fino in fondo a una questione» (Fratelli tutti, 212). La ricerca della verità, infatti, non va temuta come potenziale minaccia nei confronti della convivenza democratica, dal momento che essa «è “lógos” che crea “diá-logos” e quindi comunicazione e comunione»; la verità — pertanto — «apre e unisce le intelligenze nel lógos dell’amore» (Caritas in veritate, 4).
In quest’ottica, il primato della libertà, valore fondamentale nell’ambito della cultura contemporanea, viene riproposto a un livello radicale, in quanto condizione per la scoperta della verità e del bene (cfr. Gaudium et spes, 17). Tale scoperta, fondamentale per il perseguimento di un «vero sviluppo umano integrale» (Caritas in veritate, 4), si realizza nella dinamica dell’incontro, a sua volta generatore di legami reali all’interno di quel percorso conoscitivo e affettivo che Papa Francesco caratterizza come la «cultura dell’incontro» (Fratelli tutti, 30).
La convivenza sociale e politica, pertanto, acquista tutto il suo significato se basata sull’amicizia civile e sulla fraternità, che permettono al cittadino di riconoscersi parte di un popolo. Quest’ultimo rappresenta una realtà aperta «a nuove sintesi» ed è capace di assumere in sé «ciò che è diverso» senza, tuttavia, negare se stesso, ma piuttosto «con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione, ad essere allargato, arricchito da altri» (Fratelli tutti, 160).
*Docente di Filosofia morale
di Alessandra Gerolin