Bailamme

La scelta di Trauttmansdorff

25 febbraio 2022

Nella sua Guerra del Peloponneso Tucidide riporta il trattato di pace stipulato da spartani e ateniesi nel 421 a.C.. In esso si legge tra l’altro che «la pace avrà la durata di cinquant’anni». I greci dell’epoca classica erano insieme pessimisti e realisti. Non consideravano la convivenza e la pace condizioni naturali per l’umanità, che solo un evento di eccezionale gravità poteva interrompere in maniera traumatica. Ritenevano che il conflitto costituisse il modo d’essere nel quale era inevitabile ricadere una volta esaurita l’energia positiva che aveva indotto le parti a sospendere l’uso delle armi.

Dietro al pessimismo degli antichi si cela spesso una sapienza profonda suscitata dalla sofferenza. In questo caso troviamo una consapevolezza dolorosa del valore della pace, della difficoltà e del sacrificio che la sua creazione comportano e di conseguenza del grande valore che essa possiede.

La guerra ha enormi capacità seduttive. Appare semplice, diretta, risolutiva. Persino giusta. Si tratta però di un grande abbaglio, organizzato attorno alla giustizia degli uomini e delle donne, che spesso presenta caratteri demoniaci. Nessuno combatte mai dalla parte sbagliata, da quella del torto. Tutti si lanciano nella mischia forti delle ragioni, che pure hanno, e pretendono che esse siano assolute, tali da meritare qualunque sacrificio perché vengano affermate. Persino quello della vita propria e dei propri cari. Non è questa giustizia umana e prepotente che garantisce la pace. A tenere lontani i conflitti è una giustizia prossima alla misericordia divina. Comprensiva e non assertiva. Dubbiosa e capace di ascoltare le ragioni dell’altro, costringendo le proprie al silenzio. O almeno a smettere di gridare coprendo ogni altra voce. Persino quella dei propri torti, che sappiamo per certo non mancano.

La pace è una piantina delicata, bisognosa di cure e di rispetto, di acqua e di fertilizzante. Una volta calpestata ha difficoltà a riprendersi. Rifugge dagli eroismi. Sono molto più numerosi i nomi di generali celebri, vincitori di battaglia sanguinose, che quelli di grandi diplomatici capaci di regalare la pace ai propri Paesi. Chi ricorda il conte Trauttmansdorff, umile e geniale realizzatore della pace di Westfalia, che mise termine alla guerra dei Trent’Anni ormai sfuggita di mano a imperatori, re e grandi elettori, che permetteva a eserciti ridotti anch’essi alla fame di aggirarsi per tutta Europa saccheggiandola?

In giorni cupi e gravidi di minacce, alle preghiere per la pace è opportuno accompagnare la memoria consapevole della necessità di riconoscere all’altro le ragioni che pure ha, nella ricerca della giustizia di Dio invece di quella degli uomini, troppo spesso meschina.

di Sergio Valzania