Lettere e ricordi in un libro di monsignor Battaglia

Esperto di fragilità

 Esperto di fragilità  QUO-042
21 febbraio 2022

«Piangevo anch’io». Papa Francesco ha più volte richiamato il popolo di Dio alla necessità di chiedere «il dono delle lacrime». Leggere di un pastore d’anime che si lascia commuovere dalla vicenda di una sua “figlia”, perciò, è un balsamo che irrora l’anima. È successo a don Domenico Battaglia (don Mimmo, si firma e presenta così), oggi arcivescovo di Napoli, per lunghi anni impegnato sulle frontiere del riscatto umano di quanti, uomini e donne, sopratutto giovani, cadevano nel baratro della droga. Quando cerca di aiutare Marta, una giovane donna finita in giri poco puliti («troppe mani hanno toccato il mio corpo!»), don Mimmo la porta di fronte ad una pozzanghera. E le chiede di guardarla. A prima vista nulla lei vede, se non lo sporco dell’acqua stagnante. Ma ecco… «vedo riflesso il cielo… Quel lembo di cielo che è lassù!».

Questo è solo uno dei tantissimi aneddoti che punteggiano, come pietre preziose, Un filo d’erba tra i sassi (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2021), il libro che raccoglie appunti, riflessioni, lettere e ricordi di monsignor Battaglia, dal 2020 alla guida della diocesi partenopea. Come pietre preziose gli scatti di tante vite, per lo più sofferenti e dolenti, sono il luogo in cui Battaglia fa risuonare il vangelo di liberazione, parola buona che egli rintraccia tra i giovani che lottano contro le dipendenze oppure nelle bidonville del Sudamerica, dove la fede si fa affidamento e diventa il carburante per tenere accesa un barlume di dignità.

E se non sembrasse fuori posto, si potrebbe dire che il vescovo Battaglia ha una sua personalissima play-list che ne accompagna l’ardore pastorale: numerose sono le citazioni musicali di grandi cantautori italiani, da Battiato a De Gregori, da De André a Zucchero. Quasi che la poesia messa in musica diventi l’antidoto, o meglio la spinta, per affrontare la dura realtà di quanti la droga, il male, la malavita e la sofferenza ha gettato sul lastrico della vita. Come se le note di un canto possano restituire nuova speranza, rinnovato ardore, uno slancio inedito verso il futuro.

Lui si definisce “esperto di fragilità”: e in effetti il vescovo Battaglia, facendo spesso eco a un suo amato e seguitissimo maestro — don Tonino Bello — rintraccia in quanti sono ai margini del successo l’attestazione della forza debole del cristianesimo: «Stare in piedi è il distintivo della speranza. Solo chi non dà alla speranza una possibilità si sente sconfitto, finito per sempre, non trova la forza di rimettersi in piedi». Con la forza di chi ha toccato con mano l’insufficienza antropologica dell’individualismo, don Mimmo si rivolge così a quanti sognano una vita di successo sganciata dal duro, onesto lavoro: «Non riesci ancora a riempire il vuoto, provi a metterci dentro ogni cosa: immagini, denaro, carriera, ma è un buco nero che non si riempie mai, che ingoia ogni cosa per lasciare sempre e solo spazio al vuoto e alla solitudine».

Con parole non scontate e piene di profezia, l’arcivescovo di Napoli chiama in causa anche i giovani: «Trasgredite: con l’impegno, i sogni, la speranza, la voglia di esserci, di essere e non solo esistere, per rabbia e per amore». E dal sud Italia lancia un allarme che deve risuonare in tutto il Paese: «La giustizia ha a che fare non solo con le leggi, che cambiano e possono essere facilmente raggirate, ma con la coscienza e con il valore dell’uomo, di ogni uomo». Al presule sotto il Vesuvio, la cui vita per decenni si è intrecciata con le piaghe dell’umanità sofferente e dispersa sotto il peso della droga, e che oggi chiama Napoli al riscatto contro ogni violenza, dobbiamo il nostro grazie per queste pagine che suscitano speranza e danno fiato al cuore, in questi tempi non facili.

di Lorenzo Fazzini