Il Papa alla plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica

Un contributo di fraternità e condivisione al percorso sinodale

 Un contributo di fraternità  e condivisione al percorso sinodale  QUO-282
11 dicembre 2021

Attingere «dalla familiarità con la prassi di fraternità e di condivisione sia nella vita comunitaria sia nell’impegno apostolico» per contribuire al processo sinodale in atto. Lo ha chiesto il Papa ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, ricevuti in udienza nella Sala Clementina nella tarda mattinata di oggi, sabato 11 dicembre.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno

Vi do il benvenuto, al termine dell’Assemblea Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Ringrazio il Prefetto, Cardinale João Braz de Aviz, per le sue parole di presentazione. Saluto il Segretario, Mons. José Rodríguez Carballo, e tutti i membri del Dicastero, presenti e assenti. Tanti Cardinali nel Dicastero, questo sembra quasi un conclave!

Vi ringrazio per tutto il lavoro che portate avanti, al servizio della vita consacrata nella Chiesa universale. Vorrei dire: al servizio del Vangelo, perché tutto quello che noi facciamo è al servizio del Vangelo, e voi in particolare servite quel “vangelo” che è la vita consacrata, affinché sia tale, sia vangelo per il mondo di oggi. Voglio dirvi la mia riconoscenza e voglio incoraggiarvi, perché so che il vostro compito non è facile. Per questo voglio esprimere la mia vicinanza a tutti coloro che credono nel futuro della vita consacrata. Vi sono vicino.

Ripenso allo spirito che animava San Giovanni Paolo ii quando convocò il Sinodo dei Vescovi su questo tema: c’era da una parte la consapevolezza di un tempo di travaglio, di esperienze innovatrici non sempre con esiti positivi (cfr. Esort. ap. Postsin. Vita consecrata, 13); c’era, e c’è maggiormente adesso, la realtà del calo numerico in diverse parti del mondo; ma soprattutto prevaleva, e prevale, la speranza, fondata sulla bellezza del dono che è la vita consacrata (cfr. ibid.). Ecco, questo è decisivo: puntare sul dono di Dio, sulla gratuità della sua chiamata, sulla forza trasformatrice della sua Parola e del suo Spirito. Con questo atteggiamento incoraggio voi e quanti, nei diversi istituti e nelle Chiese particolari, aiutano le consacrate e i consacrati, a partire da una memoria “deuteronomica”, a guardare con fiducia al futuro. Perché dico memoria deuteronomica? Perché è molto importante ricordare. Quel messaggio del Deuteronomio: “Ricorda Israele, ricorda”. Quella memoria della storia, della propria storia, del proprio istituto. Quella memoria delle radici. E questo ci fa crescere. Quando noi perdiamo la memoria, quella memoria delle meraviglie che Dio ha fatto nella Chiesa, nel nostro istituto, nella mia vita — ognuno può dirlo —, perdiamo forza e non potremo dare vita. Per questo dico memoria deuteronomica.

Penso che il vostro servizio, oggi più che mai, si possa riassumere in due parole: discernere e accompagnare. Conosco la molteplicità delle situazioni con le quali quotidianamente avete a che fare. Situazioni spesso complesse, che richiedono di essere studiate a fondo, nella loro storia, in dialogo con i Superiori degli istituti e con i Pastori. È il lavoro serio e paziente del discernimento, che non può compiersi se non nell’orizzonte della fede e della preghiera. Discernere e accompagnare. Accompagnare specialmente le comunità di recente fondazione, che sono anche più esposte al rischio dell’autoreferenzialità.

E a questo proposito c’è un criterio essenziale di discernimento: la capacità di una comunità, di un istituto di «integrarsi nella vita del Popolo Santo di Dio per il bene di tutti» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 130). Questo istituto è capace di integrarsi nella vita del Santo Popolo fedele di Dio o no? Questo criterio è decisivo per il discernimento. La vita consacrata nasce nella Chiesa, cresce e può dare frutti evangelici solo nella Chiesa, nella comunione vivente del Popolo fedele di Dio. Per questo «i fedeli hanno il diritto di essere avvertiti dai Pastori sull’autenticità dei carismi e sull’affidabilità di coloro che si presentano come fondatori» (M.p. Authenticum charismatis, 1 novembre 2020).

Nel discernere e nell’accompagnare ci sono alcune attenzioni da tenere sempre vive. L’attenzione ai fondatori che a volte tendono ad essere autoreferenziali, a sentirsi gli unici depositari o interpreti del carisma, come se fossero al di sopra della Chiesa. L’attenzione alla pastorale vocazionale e alla formazione che si propone ai candidati. L’attenzione a come si esercita il servizio dell’autorità, con particolare riguardo alla separazione tra foro interno e foro esterno — tema che a me preoccupa tanto —, alla durata dei mandati e all’accumulo dei poteri. E l’attenzione agli abusi di autorità e di potere. Su questo ultimo tema ho avuto in mano un libro di recente pubblicazione, di Salvatore Cernuzio sul problema degli abusi, ma non degli abusi eclatanti, sugli abusi di tutti i giorni che fanno male alla forza della vocazione.

Circa il discernimento in vista dell’approvazione di nuovi istituti, di nuove forme di vita consacrata o di nuove comunità, vi invito a sviluppare la collaborazione con i vescovi diocesani. Ed esorto i Pastori a non spaventarsi e ad accogliere pienamente il vostro accompagnamento. È responsabilità del Pastore accompagnare e, nello stesso tempo, accettare questo servizio. Questa collaborazione, questa sinergia tra il Dicastero e i Vescovi permette anche di evitare — come chiede il Concilio — che sorgano inopportunamente istituti privi di sufficiente motivazione o di adeguato vigore (cfr. Decr. Perfectae caritatis, 19), forse con buona volontà, ma manca qualcosa. È prezioso il vostro servizio per cercare di fornire ai Pastori e al Popolo di Dio criteri validi di discernimento.

L’ascolto reciproco tra gli uffici della Santa Sede e i Pastori, come pure i Superiori Generali, è un aspetto essenziale del percorso sinodale che abbiamo iniziato. Ma in senso più ampio e più fondamentale, direi che i consacrati e le consacrate sono chiamati a offrire un contributo importante in questo processo: un contributo per il quale essi attingono — o dovrebbero attingere — dalla familiarità con la prassi di fraternità e di condivisione sia nella vita comunitaria sia nell’impegno apostolico.

All’inizio ho parlato di memoria “deuteronomica”, e mi viene in mente — sulla memoria delle radici — quello che dice Malachia: qual è il castigo di Dio? Quando Dio vuole annientare una persona, annientare un popolo, o — diciamo — un’istituzione, lo fa rimanere — dice Malachia — “senza radici e senza germogli”. Se noi non abbiamo questa memoria deuteronomica e non abbiamo il coraggio di prendere da lì il succo per crescere, non avremo neppure germogli. Una maledizione forte: essere senza radici e senza germogli.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per il lavoro quotidiano che portate avanti per il discernimento e l’accompagnamento. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E per favore — come dicono gli spagnoli — “paso la gorra” [chiedo l’elemosina] e vi chiedo di pregare per me che ne ho bisogno. Buon cammino di Avvento e buon Natale!