Con Ieronymos ii nell’arcivescovado ortodosso

Perdono a Dio e ai fratelli per gli errori commessi da tanti cattolici

 Perdono a Dio e ai fratelli  per gli errori  commessi da tanti cattolici  QUO-278
06 dicembre 2021

«Sono venuto qui, con amore e rispetto, come pellegrino e fratello in Cristo. Penso alle nostre comune radici apostoliche e prego lo Spirito Santo, perché ci aiuti a percorrere insieme le sue vie»: lo ha scritto Papa Francesco sul libro d’onore dell’arcivescovado ortodosso di Grecia, a conclusione della visita di cortesia a Ieronymos ii e al successivo incontro pubblico con l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, svoltisi in due distinti momenti nella capitale greca nel pomeriggio di sabato 4 dicembre. Giunto in automobile dalla nunziatura il Pontefice è stato accolto all’ingresso del Palazzo dal protosincello e da due chierici. Una volta all’interno ha trovato ad attenderlo Sua Beatitudine insieme a tre stretti collaboratori. Prima del colloquio privato, il vescovo di Roma ha sostato in preghiera vicino all’icona della Madonna e consegnato due corone del rosario. Successivamente, nella Sala del Trono si è svolto — alla presenza dei rispettivi seguiti — il momento pubblico dell’appuntamento, caratterizzato dal bacio del libro del Vangelo e dallo scambio dei doni tra i due (Francesco ha consegnato una copia del Codex Pauli). Diamo di seguito il discorso pronunciato dal Santo Padre in risposta a quello di Ieronymos.

B

eatitudine,

«grazia e pace da Dio» (Rm 1, 7). La saluto con queste parole del grande Apostolo Paolo, le stesse con le quali, mentre si trovava in terra greca, si rivolse ai fedeli di Roma. Oggi il nostro incontro rinnova quella grazia e quella pace. Pregando davanti ai trofei della Chiesa di Roma, che sono le tombe degli Apostoli e dei martiri, mi sono sentito sospinto a venire qua pellegrino, con grande rispetto e umiltà, per rinnovare quella comunione apostolica e alimentare la carità fraterna. In questo senso desidero ringraziarLa, Beatitudine, per le parole che mi ha rivolto e che ricambio con affetto, salutando, attraverso di Lei, il clero, le comunità monastiche e tutti i fedeli ortodossi di Grecia.

Ci siamo incontrati cinque anni fa a Lesvos, nell’emergenza di uno dei più grandi drammi del nostro tempo, quello di tanti fratelli e sorelle migranti, che non possono essere lasciati nell’indifferenza e visti solo come un peso da gestire o, peggio ancora, da delegare a qualcun altro. Ora ci ritroviamo per condividere la gioia della fraternità e guardare al Mediterraneo che ci circonda non solo come luogo che preoccupa e divide, ma anche come mare che unisce. Poco fa ho rievocato gli ulivi secolari, che ne apparentano le terre. Ripensando a questi alberi che ci accomunano, penso alle radici che condividiamo. Sono sotterranee, nascoste, spesso trascurate, ma ci sono e sostengono tutto. Quali sono le nostre radici comuni che hanno attraversato i secoli? Sono quelle apostoliche. San Paolo le metteva in luce ricordando l’importanza di essere «edificati sopra il fondamento degli apostoli» (Ef 2, 20). Queste radici, cresciute dal seme del Vangelo, proprio nella cultura ellenica hanno cominciato a portare grande frutto: penso a tanti Padri antichi e ai primi grandi Concili ecumenici.

In seguito, purtroppo, siamo cresciuti lontani. Veleni mondani ci hanno contaminato, la zizzania del sospetto ha aumentato la distanza e abbiamo smesso di coltivare la comunione. San Basilio il Grande ha affermato che i veri discepoli di Cristo sono «modellati soltanto su ciò che vedono in lui» (Moralia, 80, 1). Con vergogna — lo riconosco per la Chiesa Cattolica — azioni e scelte che poco o niente hanno a che vedere con Gesù e con il Vangelo, improntate piuttosto a sete di guadagno e di potere, hanno fatto appassire la comunione. Così abbiamo lasciato che la fecondità fosse compromessa dalle divisioni. La storia ha il suo peso e oggi qui sento il bisogno di rinnovare la richiesta di perdono a Dio e ai fratelli per gli errori commessi da tanti cattolici. È però di gran conforto la certezza che le nostre radici sono apostoliche e che, nonostante le storture del tempo, la pianta di Dio cresce e porta frutti nello stesso Spirito. Ed è una grazia riconoscere gli uni i frutti degli altri e ringraziare il Signore insieme per questo.

Il frutto finale dell’albero di ulivo è l’olio, quell’olio un tempo contenuto in pregiati vasi e manufatti, che abbondano tra i tesori archeologici di questo Paese. L’olio ha fornito la luce che ha illuminato le notti dell’antichità. Per millenni è stato il «sole liquido, il primo misterioso stato della fiamma delle lampade» ( C. Boureux , Les plantes de la Bible et leur symbolique, Parigi 2014, 65). Per noi l’olio, caro Fratello, fa pensare allo Spirito Santo, che ha dato alla luce la Chiesa. Solo Lui, con il suo splendore intramontabile, può dissipare le oscurità e illuminare i passi del nostro cammino.

Sì, perché lo Spirito Santo è anzitutto olio di comunione. Nella Scrittura si parla dell’olio che fa brillare il volto dell’uomo (cfr. Sal 104, 15). Quanto ci occorre oggi riconoscere il valore unico che risplende in ogni uomo, in ogni fratello! Riconoscere questa comunanza umana è il punto di partenza per edificare la comunione. Purtroppo però — come ha scritto un grande teologo — «la comunione sembra toccare una corda sensibile», un nervo scoperto, non solo nella società, ma spesso anche tra i discepoli di Gesù, «in un mondo cristiano nutrito di individualismo e di rigidità istituzionale». Eppure, se le tradizioni proprie e le specificità di ciascuno portano ad arroccarsi e a prendere le distanze dagli altri, se «l’alterità non è qualcosa di qualificato dalla comunione, può difficilmente dar vita a una cultura soddisfacente» ( I. Zizioulas , Comunione e alterità, Roma 2016, 16). La comunione tra i fratelli, invece, porta la benedizione divina. È comparata dai Salmi a «olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba» (Sal 133, 2). Lo Spirito che si riversa nelle menti ci sospinge infatti a una fraternità più intensa, a strutturarci nella comunione. Non temiamoci dunque, ma aiutiamoci ad adorare Dio e a servire il prossimo, senza fare proselitismo e rispettando pienamente la libertà altrui, perché — come scrisse san Paolo — «dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2 Cor 3, 17). Prego affinché lo Spirito di carità vinca le nostre resistenze e ci renda costruttori di comunione, perché «se davvero l’amore riesce a eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è l’unità» ( S. Gregorio di Nissa Omelia 15 sul Cantico dei Cantici). D’altronde, come possiamo testimoniare al mondo la concordia del Vangelo se noi cristiani siamo ancora separati? Come possiamo annunciare l’amore di Cristo che raduna le genti, se non siamo uniti tra di noi? Tanti passi sono stati compiuti per venirci incontro. Invochiamo lo Spirito di comunione, perché ci sospinga nelle sue vie e ci aiuti a fondare la comunione non su calcoli, strategie e convenienze, ma sull’unico modello a cui guardare: la Santissima Trinità.

Lo Spirito, in secondo luogo, è olio di sapienza: Egli unse Cristo e desidera ispirare i cristiani. Docili alla sua sapienza mite, cresciamo nella conoscenza di Dio e ci apriamo agli altri. Vorrei in questo senso esprimere apprezzamento per l’importanza che questa Chiesa Ortodossa, erede della prima grande inculturazione della fede, quella con la cultura ellenica, dedica alla formazione e alla preparazione teologica. Vorrei anche ricordare la proficua collaborazione in ambito culturale tra l’Apostolikí Diakonía della Chiesa di Grecia — i cui rappresentanti ho avuto la gioia di incontrare nel 2019 — e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nonché l’importanza dei simposi intercristiani, promossi dalla Facoltà di Teologia ortodossa dell’Università di Salonicco insieme alla Pontificia Università Antonianum di Roma. Sono occasioni che hanno permesso di instaurare cordiali rapporti e di avviare utili scambi tra accademici delle nostre confessioni. Ringrazio anche per l’attiva partecipazione della Chiesa Ortodossa di Grecia alla Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico. Lo Spirito ci aiuti a proseguire sapientemente in queste vie!

Lo stesso Spirito è, infine, olio di consolazione: Paraclito che ci sta vicino, balsamo dell’anima, guarigione delle ferite. Egli ha consacrato Cristo con l’unzione perché proclamasse ai poveri il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione, la libertà agli oppressi (cfr. Lc 4, 18). Ed Egli ancora ci spinge a prenderci cura dei più deboli e dei più poveri, e a porre la loro causa, primaria agli occhi di Dio, all’attenzione del mondo. Qui, come altrove, è stato indispensabile il sostegno offerto ai più bisognosi durante i periodi più duri della crisi economica. Sviluppiamo insieme forme di cooperazione nella carità, apriamoci e collaboriamo su questioni di carattere etico e sociale per servire gli uomini del nostro tempo e portare loro la consolazione del Vangelo. Lo Spirito ci chiama, infatti, oggi più che in passato, a risanare le ferite dell’umanità con l’olio della carità.

Cristo stesso chiese ai suoi, nel momento dell’angoscia, la consolazione della vicinanza e della preghiera. L’immagine dell’olio ci conduce così al giardino degli ulivi. «Restate qui e vegliate» (Mc 14, 34), disse Gesù. La sua richiesta agli Apostoli fu al plurale. Anche oggi desidera che vegliamo e preghiamo: per portare al mondo la consolazione di Dio e risanare le nostre relazioni ferite occorre la preghiera degli uni per gli altri. È indispensabile per giungere «alla necessaria purificazione della memoria storica. Con la grazia dello Spirito Santo, i discepoli del Signore, animati dall’amore, dal coraggio della verità e dalla volontà sincera di perdonarsi a vicenda e di riconciliarsi, sono chiamati a riconsiderare insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che esso continua purtroppo a provocare anche oggi» ( S. Giovanni Paolo ii , Lett. enc. Ut unum sint, 2).

A questo ci esorta, in particolare, la fede nella Risurrezione. Gli Apostoli, paurosi e titubanti, si riconciliarono con la lacerante delusione della Passione quando videro il Signore risorto davanti a loro. Proprio dalle sue piaghe, che parevano impossibili da rimarginare, attinsero una speranza nuova, una misericordia inaudita; un amore più grande dei loro sbagli e delle loro miserie, che li avrebbe trasformati in un solo Corpo, unito dallo Spirito nella molteplicità di tante membra diverse. Venga su di noi lo Spirito del Crocifisso Risorto, ci doni «un pacato e limpido sguardo di verità, vivificato dalla misericordia divina, capace di liberare gli spiriti e di suscitare in ciascuno una rinnovata disponibilità» (ibid.). Ci aiuti a non restare paralizzati dalle negatività e dai pregiudizi di un tempo, ma a guardare la realtà con occhi nuovi. Allora le tribolazioni del passato lasceranno spazio alle consolazioni del presente e saremo confortati dai tesori di grazia che riscopriremo nei fratelli. Abbiamo appena avviato, come cattolici, un itinerario per approfondire la sinodalità e sentiamo di avere tanto da apprendere da voi. Lo desideriamo con sincerità, certi che, quando i fratelli nella fede si avvicinano, scende nei cuori la consolazione dello Spirito.

Beatitudine, caro Fratello, ci accompagnino in questo cammino i tanti illustri santi di queste terre, e i martiri, oggi nel mondo più numerosi, purtroppo, che in passato. Di diverse confessioni in terra, abitano insieme lo stesso Cielo. Intercedano perché lo Spirito, santo olio di Dio, in una rinnovata Pentecoste, si effonda su di noi come sugli Apostoli da cui discendiamo: accenda nei cuori il desiderio della comunione, ci illumini con la sua sapienza e ci unga della sua consolazione.