Tra i migranti che hanno incontrato Papa Francesco a Nicosia

Le mani e gli occhi di Mamadou

 Le mani e gli occhi di Mamadou  QUO-277
04 dicembre 2021

La preghiera ecumenica con i migranti, voluta dal Papa come ultima tappa a Cipro, prima di spostarsi in Grecia, racchiude il senso più profondo del viaggio apostolico: l’unione tra i cristiani per essere testimoni di misericordia «per l’umanità duramente provata».

Nel pomeriggio di ieri Francesco si è recato nella chiesa di Santa Croce, a Nicosia, dov’è stato accolto sull’altare dal patriarca di Gerusalemme dei latini, Pierbattista Pizzaballa. Dopo il canto d’inizio, il saluto del patriarca e le parole di presentazione di Elisabeth Chrysanthou, di Caritas Cyprus, quattro giovani migranti hanno raccontato l’orrore che portano negli occhi: Mariamie, proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo; Thamara, dello Sri Lanka; Maccolins, del Camerun, e Rozh, iracheno. Successivamente, il Papa ha pronunciato il suo discorso, nel quale ha ripercorso le storie raccontate dai quattro migranti soffermandosi sui nodi profondi ed esistenziali delle testimonianze.

Riferendosi alla testimonianza di Thamara, proveniente dallo Sri Lanka, ha ricordato di nuovo che i migranti non sono «numeri» né «individui da catalogare» ma «fratelli», «amici», «credenti», «prossimi» gli uni degli altri. «Ma quando gli interessi di gruppo o gli interessi politici, anche delle Nazioni» — ha aggiunto lasciando da parte il testo preparato e parlando a braccio — prendono il sopravvento, si rimane «senza volerlo, schiavi, perché l’interesse sempre schiavizza, sempre crea schiavi. L’amore che è contrario dell’odio, ci fa liberi».

Molto commosso, Francesco ha ringraziato tutti coloro che aiutano nell’accoglienza di rifugiati e migranti a Cipro, l’isola — aveva sottolineato poco prima l’esponente della Caritas — che riceve più richieste di asilo pro capite di qualsiasi altro Paese dell’Unione europea. Il Pontefice ha anche fatto riferimento con dolore ai rifugiati rimpatriati con la forza in nazioni «dove le donne sono vendute e gli uomini sono internati in campi di tortura» per costringere le loro famiglie a pagare un riscatto.

In diverse occasioni ha menzionato il “filo spinato” — «come quello che vediamo qui accanto» alla chiesa di Santa Croce — eretto per tenere fuori i rifugiati che a volte cercano semplicemente di salvarsi la vita. Anche per questo «salgono sui barconi di notte», mezzi di trasporto insicuri e troppe volte mortali. «Ci scandalizziamo — ha ancora evidenziato — per i lager nazisti e comunisti del secolo scorso e ci giriamo dall’altra parte per non vedere quelli di oggi dove i nostri fratelli sono venduti, torturati, odiati. Quando non muoiono mentre cercano di scappare da guerre e fame».

Ecco allora la richiesta esplicita: «Che il Signore risvegli la coscienza di tutti noi davanti a queste cose. E scusatemi — ha concluso — se ho detto le cose come sono, ma non possiamo tacere». Si è trattato, dunque, di un forte messaggio che Francesco ha consegnato alla Chiesa di Cipro perché sia lievito nella società europea.

Alla fine, ha stretto la mano a centinaia di partecipanti, molti dei quali piangevano per l’emozione. Tra questi Mamadou, un minore straniero non accompagnato, che attendeva nel proprio posto una stretta di mano registrando un messaggio audio per la mamma rimasta in Africa mentre il Papa si avvicinava alla sua postazione. Per un giorno si è sentito meno “invisibile”, Francesco è stata la prima persona a guardarlo negli occhi per stringergli la mano.

dalla nostra inviata
Silvina Pérez