Infermità e solitudine dietro le sbarre

04 novembre 2021

Occuparsi del benessere dei detenuti e di chi lavora con loro è fondamentale. Nel carcere c’è spesso disomogeneità delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Significative sono anche le carenze nell’offerta dia alcuni servizi socio-sanitari così come non possiamo sempre contare su dati statistici aggiornati sul fabbisogno di salute.

La consapevolezza a livello culturale dell’uguaglianza del diritto alla salute di liberi e ristretti è insufficiente anche se occuparsi della “testa dei ristretti” è fondamentale e può essere considerata l’altra metà dell’esecuzione penale, tenuto conto che la popolazione carceraria molto spesso è ad alto rischio già prima della detenzione. Il carcere è diventato il luogo di accoglienza del reo folle e mentre prima il percorso detentivo si poteva caratterizzare, oggi è già segnato e la cella non può che diventare un ambiente patogeno. Di salute mentale negli istituti di pena in carcere se ne parla poco per questo è fondamentale aumentare la consapevolezza delle istituzioni dell’importanza del tema nonostante le difficoltà economiche, la carenza di personale addetto e di strutture.

Un tempo c’erano gli Opg, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, più noti come manicomi criminali. Qui venivano rinchiuse le persone considerate socialmente pericolose, tra cui tossicodipendenti, sieropositivi, alcolisti, persone sole e anziani. Erano vere e proprie strutture dove gli ospiti venivano il più delle volte abbandonati a se stessi senza alcuna assistenza sanitaria. Rappresentavano il clou delle contraddizioni del sistema giudiziario e quando vennero istituititi, furono pensati per soddisfare una duplice esigenza: unire la dimensione terapeutica con quella di sicurezza.

Esigenza superata dal fatto che, con gli anni, si è compreso che spesso il detenuto giudicato normale, aveva maggiori opportunità di reinserimento nel tessuto sociale rispetto ad un ristretto dell’Opg che non aveva altra scelta se non quella di trascorrere il resto della sua vita dietro le sbarre.

Ora esiste un complesso di norme che garantisce percorsi di cura a tutte le persone con problemi mentali che entrano nel circuito penale, siano esse intercettate prima, e quindi destinatarie di misure di sicurezza, siano esse detenuti con patologie sopravvenute.

Misure di sicurezza non detentive, quali la libertà vigilata o detenzione domiciliare.

Per il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, siamo però ancora di fronte a «vuoti, inerzie, carenze, bisogno. Vuoti normativi, determinati dalla persistente mancanza di una disciplina della risposta alla patologia psichica insorta o maturata nel corso della detenzione che la equiparasse a quella fisica».

In Italia le Sezioni di “articolazione per la tutela della salute mentale” sono 47, (8 femminili e 39 maschili) e ospitano 251 detenuti/e: 21 donne e 230 uomini. I Reparti psichiatrici sono invece due. «L’intera materia, che tocca sensibilmente la qualità della vita nel circuito penitenziario e la stessa gestione degli Istituti» osserva Palma «è rimasta affidata agli strumenti esistenti, la cui insufficienza si manifesta anche nel disagio crescente di chi vi opera».

di Davide Dionisi