La buona Notizia Il Vangelo della xxxii Domenica del Tempo Ordinario (Marco 12, 38-44)

Due monetine nella terra del «quinto Vangelo»

02 novembre 2021

Nella Terra che Paolo vi chiamava «il quinto Vangelo» c’è un piccolo ma ricco museo che non mostra solo ritrovamenti antichi ma parla dritto al cuore. Si trova a Gerusalemme nel posto in cui secondo la tradizione Gesù venne flagellato, e dove oggi biblisti, storici e archeologi conducono il prestigioso Studium Biblicum Franciscanum. A guidarci lungo i corridoi segnati dalla pietra bianca gerosolimitana è il francescano che questo piccolo scrigno di reperti di cultura biblica ha ideato ed organizzato. Padre Eugenio Alliata ci guida tra le vetrine col suo parlare mite e soprattutto con la modestia dei veri sapienti, che rassicura la nostra abissale ignoranza. Poi davanti a un espositore illuminato prende tra le dita, con il tocco delicato degli archeologi, una monetina. E spiega «vedete, questa monetina era di quelle che erano in uso nel Tempio di Erode. Questa è come le due monetine (“che insieme fanno un soldo”) che la vedova povera getta nel tesoro del tempio». Ma a quel punto il nostro sguardo non è più catturato dalla monetina ma dal viso, dagli occhi, del frate archeologo che si illuminano e malcelano un’intensa emozione.

Una simile emozione letta negli occhi di Gesù che si ferma e osserva, mettendo il suo sguardo amorevole su un piccolo ma essenziale dettaglio: una donazione assoluta, letteralmente la donazione «della sua vita intera».

Un noto psicoanalista affermava che «amare è donare la propria mancanza», cioè donare ciò che non si ha, come la vedova, ultima nella scala sociale, che attraverso il dono delle sue uniche due monetine, mostra tutta la sua umana finitezza. Viceversa, c’è chi dona con un amore narcisistico e vuole farsi amare, con un amore che esige la specularità dell’amare se stessi nell’altro e volendo salvaguardare il proprio Io, conservando quella parte di sé per poterla continuare ad amare nell’altro.

La vedova non si identifica con quello che dona, lei stessa è un atto donativo, non necessita di difendere la propria identità, coincidente magari con un abito, un ruolo, un atteggiamento. A volte il nostro bisogno di identificarci con quell’abito, con quel personaggio ci fa compiere delle gestualità cultuali che sottendono una falsa narrazione di noi stessi, precludendoci la possibilità di percorrere in pienezza e autenticità la nostra vita connotata umanamente da limiti e mancanze. Ma i limiti contengono già in essi la possibilità di un loro superamento.

Nello sguardo di Gesù l’amore negoziato non trova spazio, la pienezza del gesto di questa donna è paragonabile alla pienezza che si vive quando ci si innamora di qualcuno, il mondo si trasforma, prende forme diverse e si prova quella meravigliosa sensazione che tutto si può, con la fiducia che l’altro ci ama per quello che siamo. Questa donna non desidera attirare su di sé lo sguardo benevolo altrui, lei ha già conquistato il suo posto nel mondo, ha già fatto i conti con la sua povertà.

Simbolo di un’esperienza di fede adulta, la figura della vedova ci può indicare cosa sia una fede incarnata, concreta e non mediata da tante “parole”. Il cuore e la testa di questa donna hanno trovato armonia, lei ha fatto la sua scelta, incarna una eccedenza che trasforma e che la rende preziosa agli occhi di Gesù. A volte, la nostra umanità ci inganna, e la grande paura di non essere amati dall’altro ci spinge a scegliere di salvaguardare il nostro piccolo Io, volendo difendere le ben piantate radici del nostro ego nel terreno della vita, incapaci di fare quella sana potatura che ci può rendere liberi di fiorire in tutta la nostra bellezza e capacità donativa, gioiosi di essere amati per la nostra autentica nudità.

Quale gioia più grande per un Padre è sentirsi amato in totale pienezza dalla propria creatura!

di Rossella Barzotti