Le parrocchie delle zone storiche fra spopolamento e degrado sociale

La periferia in Centro

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30 ottobre 2021

In Italia lo spopolamento dei centri storici nelle grandi città è un fenomeno di lunga data e Roma è una delle città più colpite: nel 2019 entro le mura aureliane vivevano poco più di 90.000 abitanti a fronte dei 370 mila del 1951.

L’abbandono dei centri storici ha provocato un’evidente ricaduta anche nelle parrocchie delle rettorie centrali che si sono sensibilmente spopolate di fedeli.

Un esempio emblematico è la basilica paleocristiana di San Vitale e Compagni martiri in Fovea lungo via Nazionale, proprio accanto al Palazzo delle Esposizioni.

Ne parliamo con il parroco don Elio Lops: «All’interno del centro storico non c’è più la presenza delle famiglie. Ci sono edifici di rappresentanza, uffici e case vacanze. Nel quartiere oggi vivono due-trecento famiglie reali, per lo più anziani. I proprietari preferiscono affittare i loro immobili per periodi brevi, più redditizi, e si trasferiscono nei quartieri periferici, dove i costi sono più contenuti e le abitazioni nuove. L’avvento di internet, nei primi anni 2000, ha accelerato e reso più semplice questo processo attraverso gli airbnb, che a Roma, unica capitale in Europa, non sono ancora regolamentati. Fino a una ventina di anni fa — prosegue don Elio — via Milano e via Venezia, tutte le zone limitrofe a via Nazionale erano densamente abitate e questa parrocchia molto frequentata. Gli anziani muoiono e le abitazioni vengono trasformate in bed and breakfast. La chiusura della ztl ha sicuramente contribuito alla decongestione del traffico ma ha scoraggiato le famiglie a restare, private anche dei servizi sotto casa».

Il turismo di massa ha trasformato il centro urbano che perde sempre più la propria identità, si costruisce una “tipicità artificiale”. Tra gli esercizi commerciali resistono quelli a larga distribuzione delle grandi catene, mentre le botteghe di artigianato e i piccoli esercenti sono costretti a chiudere a causa dei costi degli affitti insostenibili. Il centro storico si trasforma in una sorta di luna park senza anima. Con il covid-19 la situazione si è aggravata. Basta percorrere la lunghissima via Nazionale per notare sempre più numerose le serrande abbassate, povertà e degrado.

«A livello di quartiere ne abbiamo già parlato con la Confartigianato e Confcommercio per incoraggiare i proprietari ad affittare gli appartamenti alle famiglie e non soltanto ai turisti — spiega il parroco di San Vitale —. Inoltre bisogna fare in modo che la presenza e l’esperienza cristiana all’interno delle chiese del centro sia più visibile e reale. A mio parere l’unica possibile alternativa è incentivare gemellaggi con le parrocchie di periferia, dove si lavora con passione e la presenza delle famiglie e dei giovani, in particolare, è più cospicua. Portarli a conoscere le parrocchie del centro per comprendere la loro bellezza... San Vitale è forse la prima parrocchia di concezione moderna di Roma».

Infatti, costruita in seguito a una donazione della nobile Vestina, per adibirla al culto pubblico, la chiesa fu consacrata nel 402 e dedicata inizialmente ai martiri milanesi Gervasio e Protasio e in seguito al padre Vitale e a sua moglie Valeria. Un ruolo importante ebbe per la basilica sant’Ambrogio, che fece iniziare da qui il corteo delle vedove che confluiva nella Litania settiforme, la processione solenne che ricordiamo specialmente nel 590, quando la Salus populi Romani, l’icona della Vergine con il Bambino tanto cara ai romani, fu portata attraverso le vie del centro fino a San Pietro per pregare di fermare la rovinosa peste del 590. Una basilica, insomma, densa di storia, che dimostra una piena vitalità e uno scambio spirituale e culturale che va oltre i confini urbani fin da epoche molto antiche.

La basilica di San Vitale ha anche un’ubicazione particolare, «in fovea», letteralmente infossata rispetto al piano stradale, innalzato durante i lavori urbanistici umbertini per adeguare Roma al suo nuovo ruolo di capitale d’Italia. L’edificio appare all’improvviso, come una visione singolare, così scura e antica rispetto ai candidi volumi cubici degli edifici posteriori. «Molti si sentono scoraggiati a scendere la lunga scalinata di accesso che scende alla basilica — racconta don Elio — altri pensano che la chiesa sia chiusa e invece è sempre aperta».

Il parroco di San Vitale ha pensato di rivestire di velluto rosso le colonne del pronao per richiamare l’attenzione dei passanti, dimostrare che la chiesa è viva e invitarli a entrare in quella che si rivela una sorpresa, una chiesa straordinaria, ricchissima di arte e di bellezza. Un vero tesoro spirituale che oggi risplende grazie alla nuova illuminazione, realizzata con l’impegno economico dello stesso don Elio. C’è anche un ascensore, di fianco alla riproduzione fedele della Salus Populi Romani che permette di evitare di intraprendere la ripida scalinata.

La basilica è la sede della Comunità nazionale romena, della Cura d’anime per i cattolici romeni di Rito latino, guidata da don Isidoro Iacovici e altri sacerdoti che da molti anni si preoccupano di accogliere e integrare la numerosa comunità romena presente a Roma.

«Lo spopolamento delle parrocchie porta anche a reali difficoltà economiche — afferma don Elio —. San Vitale è considerata una parrocchia povera. La chiesa è sostenuta dal Vicariato e riceviamo contributi dalla comunità romena, ma non basta, abbiamo difficoltà anche a pagare le utenze elettriche». Don Elio è fermamente impegnato a non arrendersi e a cercare un modo per non far morire la sua parrocchia. Il problema di fondo è che una chiesa, e men che meno un edificio storico, non è una monade isolata, ma un elemento di un tutto complesso che è l’intero quartiere e quindi la città intera. Occorre una politica lungimirante locale e nazionale, che lavori insieme contro il degrado e contro lo sfruttamento selvaggio dei beni pubblici e privati, perché il centro storico delle città, e di Roma in particolare, non diventi una sorta di periferia al rovescio, che genera il controsenso di un luogo dimenticato e allo stesso tempo sfruttato.

di Maria Milvia Morciano