Intervista a Paolo Benanti dopo l’annuncio di Facebook di diecimila nuove assunzioni in Europa

Metaverso, dimensione utopica e opportunità di business

(FILES) In this file photo taken on October 23, 2019, a Facebook employee walks by a sign displaying ...
19 ottobre 2021

Tutto è cominciato con il romanzo di fantascienza di Neal Stephenson, Snow Crash. L’autore nel 1992 conia per la prima volta il termine metaverso per descrivere una realtà virtuale di internet in cui le persone erano rappresentate in tre dimensioni attraverso immagini da loro scelte (i cosiddetti avatar). Nei giorni scorsi Facebook ha annunciato l’assunzione di diecimila persone in Europa nei prossimi cinque anni per lavorare proprio sul sogno di una piattaforma social completamente intermediale, multimediale, immersiva, condivisa e interattiva, considerata da altri giganti del web come il prossimo grande salto tecnologico nell’evoluzione di Internet.

Secondo Paolo Benanti, docente presso la Pontificia Università Gregoriana ed esperto in etica, bioetica ed etica delle tecnologie, «il covid-19 ha provocato l’accelerazione di una serie di processi. Parlo della digitalizzazione, del nostro contatto con le intelligenze artificiali e delle modalità virtuali di presenza. Di fronte a questi mutamenti repentini le aziende stanno reagendo e spingono sempre di più l’utente all’interno di uno spazio virtuale. Essendo una disposizione tridimensionale dei dati, il metaverso in qualche misura crea uno spazio alternativo a quello usuale dove viviamo. Grazie a dispositivi hardware come gli occhiali a realtà immersiva e alla enorme quantità di dati e di connessioni di cui è depositario Facebook, si vuole accompagnare l’utente in un’altra realtà dove tutto ciò che ha valore è digitale».

Benanti è convinto che «il progetto prevede di creare una vera e propria seconda esistenza che questa volta si svolge non in un territorio appartenente ad uno Stato, ma all’interno di un server che è proprietà dell’azienda. È nata pochi giorni fa Prospera, un’isola in Honduras staccata da tutto, di ultra lusso, con altissima connessione, con leggi proprie affidate ad un’azienda americana, dove la parte più ricca della popolazione si può rifugiare. Una sorta di paradiso in terra che non è un’utopia, ma è una plutopia, un posto per soli ricchi. Quindi siamo di fronte ad un’utopia digitale come quella di Facebook, oppure ad una plutopia reale come quella di Prospera».

Ma l’esperienza di Second Life aveva già promesso meraviglie e generava molti interrogativi. Poi però naufragò. Cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo tentativo di creare un mondo virtuale entro cui far interagire con sempre più efficacia le persone? «Mentre Second Life mi consentiva di creare un avatar, che poteva avere sessualità diversa, aspetti e interessi diversi, il metaverso è l’idea di chi profetizza che in realtà la parte più interessante delle nostre vite è quella che oggi accade digitalmente», risponde il docente della Gregoriana.

«Ecco perché ha una dimensione utopica ed è un’enorme opportunità di business, perché se io sono il demiurgo di quella realtà, sono anche il padrone di una società che diventa medievale dove io da signore offro spazi a vassalli e valvassori che producono valore per me».

Il metaverso, dunque, può rappresentare un modo per superare i limiti e le restrizioni imposte dal mondo fisico? «È un modo per creare valore visto dalla prospettiva dell’azienda perché io le affido sempre di più qualcosa per cui sono disposto a pagare per averlo. È un sogno, forse anche abbastanza ingenuo, per non vivere la fragilità del nostro essere biologico. È qualcosa destinato a deluderci perché l’esperienza più profonda che possiamo fare non è quella del disporre di una realtà digitale a nostro piacimento, ma è quella di toccare ed essere toccati. Cosa manca al metaverso? Può esserci tutta la cognizione del mondo, tutti gli avatar del mondo, ma come dice la Bibbia non c’è un altro che mi guarda negli occhi, non c’è un altro uomo e forse non c’è neanche la possibilità di fare un’esperienza di Dio».

In questo scenario sarà sempre più difficile scindere il virtuale dal reale anche se, per Benanti, «quando parliamo di metaverso, in realtà si supera il paradigma reale virtuale e si va in una realtà di mezzo che può essere mista, dove dati e reale si fondono ingannandomi sull’impossibilità di distinguere uno dall’altro, o realtà aumentata dove il digitale aumenta, mediante questi flussi di informazioni che passano davanti ai miei occhi la mia esperienza del vero e del concreto».

di Davide Dionisi