Quella riconciliata fraternità universale in Cristo che vincerà il mondo

Per una rinascita «dall’alto»

 Per una rinascita «dall’alto»  QUO-232
12 ottobre 2021

Il cardinale segretario di Stato sul grande scrittore russo


Pubblichiamo l’indirizzo di saluto del cardinale segretario di Stato, pronunciato il 5 ottobre presso l’Aula Benedetto XVI del Campo Santo Teutonico in occasione della presentazione del volume di Vladimir Solov’ëv
Fëdor Dostoevskij (Cantagalli, 2021, pagine 88, euro 9,90) uscito per il bicentenario della nascita del grande scrittore russo. Erano presenti il Metropolita Hilarion di Volokolamsk,  l’ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede, Alexander Avdeev, il padre Abate Mauro Giuseppe Lepori e il professor Pierluca Azzaro, curatore del libro. 

Sin dall’inizio del suo Pontificato, in varie occasioni — anche poche settimane fa durante il Viaggio apostolico in Slovacchia — Papa Francesco ha menzionato Dostoevskij, invitandoci a riscoprirlo e a nutrirci di lui, che ha saputo leggere con fede e profondità l’animo umano, per poter anche noi «crescere in umanità».

Il libro che si presenta oggi è una splendida conferma di questa intuizione del Santo Padre. Anche il Metropolita Hilarion lo evidenzia nella sua Prefazione: emerge come i personaggi dei romanzi di Dostoevskij siano molto più che creazioni artistiche di un letterato geniale, molto più di meri testimoni di un’epoca ormai irrimediabilmente passata. Essi sono, invece, testimoni, ieri come oggi, della bellezza e della forza travolgente della fede cristiana.

Come la fede degli Umiliati e offesi, degli ultimi, dei “piccoli”, dei perseguitati, che proprio in quella condizione incarnano e testimoniano in modo tanto più luminoso, tanto più attraente e coinvolgente, tanto più grande e vero la speranza e l’amore del Salvatore crocifisso per la nostra salvezza.

O la fede degli abitanti della Casa dei morti, dei carcerati, dei malviventi e degli assassini, dei cosiddetti “peggiori”, di chi in un modo o nell’altro ha conosciuto gli abissi della violenza e del male, della tristezza e dell’infelicità in cui può sprofondare un uomo; un uomo che, d’altro canto, ha anche riconosciuto la propria pochezza, miseria, impotenza. E così, a partire da qui, ha sperimentato la forza risanante dell’unico vero Amore che solo può veramente risollevare, curare, salvare, ridare gioia e vita: quell’amore di Cristo che essi non possono che testimoniare con tutto se stessi.

In questo senso proprio Dostoevskij, dopo avere provato egli stesso il carcere, scrive: «In questi anni ho composto dentro di me un credo in cui tutto per me è chiaro e sacro. Questo credo è molto semplice, eccolo: credere che non c’è niente di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo».

Proprio a partire da questa testimonianza di fede, Vladimir Solov’ëv, che come pochi altri conosceva e apprezzava Dostoevskij, può rivelarci un’ulteriore dimensione dell’attualità del suo messaggio: per quanto grande e invincibile possa sembrare il dominio del male nel mondo, della morale corrente, dell’ostilità e dell’avidità, ancor più grande è l’anima dell’uomo che — scrive — «non gli consente di accontentarsi di qualcosa di parziale, di spicciolo, d’incompleto; ma lo spinge a volere e a cercare una vita piena, universale, perenne, la felicità vera, a identificarsi con una causa valida per tutti gli uomini di tutto il mondo».

È così anche oggi, nell’impresa di vivere e testimoniare una fede non solo «privata» e «domestica», ma «viva» e «attiva» — aggettivi che attingo da Solov’ëv —, senza lasciarsi sedurre dalla signoria del male, ma donando a un’umanità ferita quello di cui più di tutto ha bisogno per rinascere, per rinascere innanzitutto, come dice Gesù nel Vangelo di Giovanni, «dall’alto» (3, 3). Si preannuncia in questo modo già da ora quella riconciliata fraternità universale in Cristo che per Dostoevskij da ultima vincerà il mondo.

Nell’invitare pertanto a un’attenta e meritevole lettura del testo, vorrei concludere questo mio breve intervento esprimendo gratitudine per l’iniziativa all’Accademia Sapientia et Scientia — la cui attività seguo e sostengo da anni — e, in particolare, alla professoressa Giuseppina Cardillo Azzaro, al professor Azzaro e all’editore David Cantagalli: grazie per avere onorato in questo modo Dostoevskij nel bicentenario della nascita.

Auspico che qui oggi si aggiunga un ulteriore prezioso anello alla catena d’oro di momenti che rinsaldano la nostra comune fede in Cristo e che, al di là delle differenze, nella sua luce splendente intensificano sempre più la fraternità tra di noi.

di Pietro Parolin