Non siamo i padroni del Vangelo ma i suoi servitori

SS. Francesco -
09 ottobre 2021

Il mio intervento è definito saluto, quindi vorrei salutarvi tutti insieme: vescovi, sacerdoti, persone consacrate, laici, cristiani di tutti i continenti, cristiani diligenti, cristiani ai margini della Chiesa, cristiani progressisti e cristiani conservatori... anziani e giovani, uomini e donne di tutte le generazioni, fratelli e sorelle alla ricerca di Dio o semplicemente curiosi.

Di fatto, non dovrei essere io a salutare voi, ma dovremmo salutarci gli uni gli altri.

Salutare qualcuno significa essere consapevole della sua presenza, salutare qualcuno significa lasciare entrare l’altro nella mia vita; significa lasciarmi disturbare per un incontro. Una Chiesa sinodale è una Chiesa relazionale, una Chiesa d’incontro.

Ci saranno degli incontri a livello di diversi gruppi, a livello delle diocesi, a livello delle conferenze episcopali, a livello di continenti e infine dell’assemblea generale con i Padri sinodali a ottobre 2023 in questa stessa aula. I nostri incontri non sono incontri di una sola volta, ma prevedono una durata nel tempo. Prendersi del tempo per l’altro, camminando insieme.

Quando camminiamo, qualcuno deve scegliere la direzione da prendere. Tale compito spetta allo Spirito Santo. Conosciamo questi modi di procedere: a volte, come a Pentecoste, egli è manifesto e colma i nostri cuori di gioia e chiarezza, una chiarezza che illumina e definisce il nostro cammino. Più spesso ci lascia percorrere il nostro cammino con piccoli pezzi di un puzzle, un puzzle dai molti colori che provengono da tutti i miei fratelli e sorelle. Abbiamo quindi dinanzi a noi un dovere di discernimento; dobbiamo scegliere i pezzi giusti, uno dopo l’altro, seguendo un certo ordine, con la partecipazione di tutti.

È un puzzle enorme al quale tutti possono partecipare, specialmente i più poveri, chi non ha voce, chi sta nelle periferie. Se escludiamo qualche giocatore, il puzzle non sarà completo. È lo Spirito Santo a ispirare i nostri interventi e a guidarci al compimento.

Qualcuno di voi dirà: Sì, ma è così che iniziano le tentazioni del Maligno, che non vuole che la Chiesa di Cristo cammini insieme.

Permettetemi di darvi qualche esempio di queste tentazioni. L’elenco non è esaustivo, ma basato, come potrete immaginare, sulla mia esperienza personale.

«È una buona idea, ma non ho tempo. La mia agenda è piena. Qualcun altro dovrà farlo per me».

«Sembra una buona idea, ma non la si può considerare seriamente. Conosciamo la struttura della Chiesa e la verità del suo insegnamento». Non è forse un modo per farci accettare cambiamenti che sono già stati decisi prima?

«È una buona idea, ma c’è troppo poco tempo, quindi non farò niente».

«Sono contento di ascoltare l’opinione di qualcuno, ma ascoltare l’esperienza di tutti? Che utopia!».

«Non voglio cambiamenti, i cambiamenti sconvolgono la mia vita e i miei piani pastorali».

Sono certo che ognuno di voi sarà in grado di completare la mia lista di tentazioni.

Dunque, cominceremo insieme un cammino, una Chiesa, un cammino in cui i pastori devono ascoltare la voce delle pecore. Ascoltare: ascoltare la presenza di Dio, ascoltare, un approccio umile. Ciò va controcorrente in una società come la nostra, dove bisogna mettersi in mostra, dove bisogna “realizzarsi”. L’ascolto è un passare dall’“io” al “noi”. L’ascolto è una qualità divina.

Devo ammettere che non ho nessuna idea del genere di documento di lavoro scriverò. Le pagine sono bianche, spetta a voi riempirle. La sola cosa che posso dire è che non lo farò da solo, uno strumento di lavoro sulla sinodalità può nascere solo da un lavoro di squadra: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». È un sinodo dei vescovi, ma ora è concepito e proposto come un processo che coinvolge tutto il popolo di Dio. Di fatto, il processo sinodale non ha solo un punto di partenza, ma anche un punto di arrivo nel popolo di Dio, sul quale, attraverso l’incontro dell’Assemblea di Pastori, devono essere effusi i doni di grazia concessi dallo spirito Santo (cfr. EC, n. 7)

Permettetemi quindi di rivolgermi ai miei fratelli vescovi. Al momento della nostra ordinazione il Libro del Vangelo è stato tenuto sopra le nostre teste; tuttavia non abbiamo proclamato il Vangelo, ma abbiamo ascoltato il Vangelo proclamato dal diacono, con in mano la croce. Abbiamo ascoltato proclamare il Vangelo a colui che è ordinato ai ministeri dell’altare, ai ministeri del servizio concreto.

Noi non siamo i padroni del Vangelo; siamo i suoi servitori. Il nostro ascolto deve sempre comprendere la nostra conversione al Vangelo, quel Vangelo che è al tempo stesso sia parola viva di Cristo sia parola della Chiesa. Il vescovo proclama la Parola di Dio nella sua omelia solo dopo aver ascoltato Cristo e la Chiesa. È questo stesso atteggiamento di ascolto a caratterizzare il nostro ruolo nel cammino sinodale.

Se vogliamo che il Vangelo di Cristo dentro di noi diventi azione, dobbiamo percorrere la via della preghiera. Momenti di silenzio aprono i nostri cuori all’ascolto. Ci apriamo all’amore di Gesù che scioglie le nostre resistenze.

Il cammino sinodale nella diocesi deve essere aperto con una preghiera vera e profonda. Solo la preghiera può portarci a un atteggiamento intimo di apertura e disponibilità (quella che viene detta “indifferenza”) e a una pace che ci permettere di fare scelte in libertà.

Preghiamo per la vera comunione. La comunione con Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ci eviterà di trasformare il sinodo in un dibattito politico dove ognuno lotta per la propria agenda. Per questo il nostro cammino porterà a una fase in cui il nostro Papa trarrà delle conclusioni basate sul Documento finale del Sinodo dei vescovi, che sarà il frutto di tutto questo processo di ascolto e discernimento che si aprirà questo fine settimana per tutto il popolo di Dio.

Potremo osservare all’opera la Chiesa gerarchica. In questo potremo vedere una garanzia della cattolicità, ovvero dell’universalità del Sinodo; una garanzia che non stiamo semplicemente compiendo questo cammino con un gruppo di amici che la pensano come noi. Per ritornare all’immagine del puzzle, questo sarà completato solo quando giocatori di diversi continenti, di diverse realtà ecclesiali, avranno aggiunto il loro pezzo.

La comunione è la garanzia della partecipazione, della partecipazione universale.

La comunione senza missione non può resistere alla prova del tempo. Come Gesù Cristo è mandato da suo Padre, così noi siamo inviati. Prima di iniziare la nostra missione, dobbiamo essere certi del tempo e dello spazio che condividiamo.

Vivremo un momento di discernimento in spirale ascendente: da una piccola comunità al momento sinodale globale, passando per diverse fasi nel tempo e nello spazio, un passaggio da un “io” a un “noi” sempre più grande. Il discernimento personale si espande anche nel discernimento comune e infine diventa un vero discernimento ecclesiale.

Il passaggio da un livello all’altro esige che ritorniamo alla nostra indifferenza iniziale. Essenzialmente, il discernimento proprio di ogni persona si espande e muta, pur mantenendo il contributo di ognuno. Il passaggio da un livello all’altro esige un momento di offerta, dove ognuno possa aprire le mani e consegnare tutto al padrone della messe.

È a Lui che consegniamo i frutti del nostro ascolto, i nostri discorsi, le nostre preghiere, le nostre deliberazioni e le nostre decisioni. È un momento supremo di libertà spirituale affinché Dio possa confermare il nostro cammino.

L’intera dinamica del sinodo deve essere un’offerta. Questa dinamica dell’offrire apre le nostre orecchie all’ascolto, ci aiuta a vivere un vero discernimento affinché io non manipoli il processo sinodale per i miei propri fini, i miei obiettivi di una Chiesa che sogno e desidero, ma il mio sogno della Chiesa diventi piuttosto il nostro sogno della Chiesa grazie al contributo dei miei fratelli e le mie sorelle. Sinodalità significa entrare in un “noi” sempre crescente, significa cercare che cosa ci edifica insieme come comunità, come popolo di Dio.

Non è rimanendo seduti che riusciremo a discernere la volontà del Padre. È camminando insieme che troveremo tanti crocevia e che dovremo compiere le nostre scelte.

La Chiesa non è autoreferenziale, bensì una comunione profonda che esige la partecipazione di tutti e che è inviata in missione. È Dio Padre che dovrà accettare le nostre scelte e che ci manda in missione.

Auguro a tutti voi un buon cammino sinodale e vi chiedo di pregare perché io possa adempiere alla mia missione di relatore generale di questo Sinodo.

di Jean-Claude Hollerich