Il magistero

30 settembre 2021

Giovedì 23

Riflettere
sull’Europa
di oggi

Tre verbi ci interpellano: riflettere, ricostruire, vedere. Riflettere è ciò che il Signore invita a fare per mezzo del profeta (Ag 1, 5.7). Il popolo, tornato dall’esilio, si era preoccupato di risistemare le abitazioni. E ora si accontenta di starsene tranquillo a casa, mentre il tempio è in macerie.

Anche oggi in Europa noi cristiani abbiamo la tentazione di starcene comodi nelle chiese, nelle tradizioni, nell’appagamento di un certo consenso, mentre i templi si svuotano.

Quante persone non hanno più fame e sete di Dio! Non perché siano cattive. Ma perché manca chi riaccenda quella sete di Dio di cui parla Dante e che la dittatura del consumismo, leggera ma soffocante, prova a estinguere.

Tanti sono portati ad avvertire solo bisogni materiali. E noi ce ne preoccupiamo, ma quanto ce ne occupiamo?

È facile giudicare, è comodo elencare i motivi della secolarizzazione, del relativismo e di tanti altri ismi... ma proviamo compassione per chi non ha avuto la gioia di incontrare Gesù o l’ha smarrita? Siamo inquieti nel vedere tanti fratelli e sorelle lontani dalla gioia di Gesù?

Il popolo aveva quanto voleva e non era felice... La mancanza di carità causa l’infelicità, solo l’amore sazia.

Chiusi nell’interesse per le proprie cose, gli abitanti di Gerusalemme avevano perso il sapore della gratuità.

Può essere anche il nostro problema: concentrarsi sulle varie posizioni nella Chiesa, dibattiti, agende e strategie, e perdere di vista il vero programma, quello del Vangelo: lo slancio della carità, l’ardore della gratuità.

Ricostruire

Il secondo passaggio [è] «Ricostruite la mia casa». Il popolo smette di accontentarsi e lavora per l’avvenire... con una mano sulle pietre, per costruire, e l’altra alla spada, per difendere la ricostruzione.

Di ciò ha bisogno la casa comune europea: lasciare le convenienze dell’immediato per tornare alla visione lungimirante dei padri fondatori. Una visione profetica e d’insieme, perché essi sognavano il futuro.

Così sono state costruite le mura della casa europea e così si potranno rinsaldare. Ciò vale pure per la Chiesa. Per renderla bella e ospitale, occorre guardare insieme all’avvenire. Purtroppo è di moda quel “restaurazionismo” che uccide.

Ripartire dalle radici: dalla tradizione vivente della Chiesa, che ci fonda sull’essenziale. Si ricostruisce dalle fondamenta della Chiesa delle origini, dall’adorazione a Dio e dall’amore al prossimo, non dai patti e negoziati.

Lavorare perché la casa del Signore sia sempre più accogliente, perché la Chiesa abbia le porte aperte e nessuno abbia la tentazione di cambiare le serrature.

Santi come Martino, Francesco, Domenico, Pio; patroni come Benedetto, Cirillo e Metodio, Brigida, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce. Non si sono preoccupati dei tempi bui, delle avversità. Non hanno perso tempo a criticare e colpevolizzare. Hanno vissuto il Vangelo, senza badare alla rilevanza e alla politica. Hanno costruito monasteri, bonificato terre, ridato anima a persone e Paesi. Nessun programma “sociale”, solo il Vangelo.

Ricostruite la mia casa. Il verbo è coniugato al plurale. Ogni ricostruzione avviene con gli altri. Ci possono essere visioni diverse, ma va sempre custodita l’unità.

Con la grazia dell’insieme, il Signore costruisce anche dove noi non riusciamo.

È la nostra vocazione, in quanto Pastori: radunare il gregge, non disperderlo e nemmeno preservarlo in recinti chiusi. Questo è ucciderlo. Ricostruire significa farsi artigiani di comunione, tessitori di unità.

Vedere

È il terzo verbo. Tutti apprezzavano Gesù, ma non comprendevano la sua novità e lo rinchiudevano in schemi già visti: Giovanni, Elia, i profeti.

Gesù non si può incasellare negli schemi del “sentito dire” o del “già visto” è novità. L’incontro con lui dà stupore e se non senti lo stupore non lo hai incontrato.

Tanti in Europa pensano che la fede sia qualcosa che appartiene al passato. Perché non hanno visto Gesù. Spesso perché noi non lo abbiamo mostrato abbastanza.

Dio si vede nei visi e nei gesti di uomini e donne trasformati dalla sua presenza.

E se i cristiani, anziché irradiare la gioia del Vangelo, ripropongono schemi logori, intellettualistici e moralistici, la gente non vede il Buon Pastore. Questo amore divino, misericordioso e sconvolgente, è la novità perenne del Vangelo.

Non ci chiede di dimostrare, ci chiede di mostrare Dio, come hanno fatto i Santi: non a parole, ma con la vita. Chiede preghiera e povertà, creatività e gratuità.

Aiutiamo l’Europa di oggi malata di stanchezza.

(Messa con la plenaria del Consiglio
delle Conferenze episcopali d’Europa - Ccee,
nel cinquantesimo dell’istituzione)

Nel cuore
le sofferenze
di Libano
e Siria

Ogni membro del popolo santo di Dio armeno cattolico attendeva il suo Pastore. L’elezione di Vostra Beatitudine è avvenuta in un momento in cui gli uomini sono particolarmente provati da diverse sfide.

Penso alle sofferenze della Siria e del Libano — ove la Chiesa di Cilicia degli Armeni è presente — come pure alla pandemia.

Specialmente i cristiani, sono chiamati a farsi prossimi e a manifestarsi fratelli, vincendo l’indifferenza e la solitudine... anche sotto i diluvi della storia e nei deserti della nostra epoca.

Conosciamo il popolo armeno come esperto nel soffrire, a motivo delle molteplici prove lungo i più di 1700 anni di storia cristiana, ma anche per la sua inesauribile capacità di portare frutto.

La Chiesa armena è pienamente inserita nelle vicende del popolo, custodendone la memoria e le tradizioni.

(Lettera per la concessione dell’«ecclesiastica communio» al patriarca di Cilicia degli armeni)

Sabato 25

Fraternità
e unità

Ringrazio i Vescovi che hanno presentato l’esperienza di questi vostri incontri iniziati quarant’anni fa.

L’Opera di Maria, o Movimento dei Focolari, ha sempre coltivato, per il carisma ricevuto dalla fondatrice Chiara Lubich, il senso e il servizio dell’unità.

In mezzo alle lacerazioni e alle distruzioni della guerra, lo Spirito pose nel cuore giovane di Chiara un seme di fraternità... che da Trento si è sviluppato.

È evidente la “parentela” tra questo carisma e il ministero dei vescovi al servizio del popolo di Dio, perché si edifichi nell’unità della fede, della speranza e della carità.

Nel cuore del vescovo, lo Spirito Santo imprime la volontà del Signore: che tutti i cristiani siano una cosa sola.

Papa, vescovi, siamo al servizio non di un’unità esteriore, di una “uniformità”, ma del mistero di comunione che è la Chiesa.

Il “sogno” di Dio è il suo disegno di riconciliare e armonizzare in Cristo tutto.

È anche il “sogno” della fraternità, a cui ho dedicato l’enciclica Fratelli tutti.

Il coraggio dell’unità lo testimoniano soprattutto i santi: come Cornelio, Papa, e Cipriano, vescovo. A quest’ultimo dobbiamo la definizione della Chiesa come «popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

Pensiamo anche a tanti testimoni dei nostri tempi, pastori e laici, che hanno avuto “l’audacia dell’unità”, pagando di persona un prezzo a volte molto alto.

L’unità non è unanimismo, non è andare d’accordo a tutti i costi. Obbedisce a un criterio fondamentale, che è il rispetto della persona, del volto dell’altro, specie del povero, del piccolo, dell’escluso.

(Ai vescovi amici del Movimento dei Focolari ricevuti nella sala dei Papi)

Domenica 26

Il rischio
di essere
inflessibili
verso gli altri
e indulgenti verso noi stessi

Il Vangelo racconta un dialogo tra Gesù e Giovanni, che parla a nome dei discepoli. Essi hanno visto un uomo che scacciava i demoni, ma glielo hanno impedito perché non faceva parte del gruppo. Gesù li invita a non ostacolare chi si adopera nel bene.

Invece di dividere le persone in buone e cattive, [occorre] vigilare [contro] la tentazione della chiusura.

I discepoli vorrebbero impedire un’opera di bene. Pensano di avere “l’esclusiva su Gesù” e di essere gli unici autorizzati a lavorare per il Regno di Dio.

Ma così finiscono per sentirsi prediletti e considerano gli altri come estranei, fino a diventare ostili nei loro confronti.

Ogni chiusura fa tenere a distanza chi non la pensa come noi ed è la radice di tanti mali: dell’assolutismo che ha generato dittature e di violenze nei confronti di chi è diverso.

Occorre anche vigilare sulla chiusura nella Chiesa. Perché il diavolo, il divisore, insinua sospetti. Tenta con furbizia!

A volte anche noi, invece di essere comunità umili e aperte, possiamo dare l’impressione di fare “i primi della classe” e tenere gli altri a distanza.

Questo è un peccato. Esibire la “patente di credenti” per giudicare ed escludere.

Chiediamo la grazia di superare la tentazione di catalogare, e che Dio ci preservi dalla mentalità del “nido”, di custodirci gelosamente nel piccolo gruppo: il prete con i suoi fedelissimi, operatori pastorali chiusi tra loro perché nessuno si infiltri, movimenti e associazioni nel proprio carisma.

Ciò rischia di fare delle comunità cristiane luoghi di separazione. Lo Spirito vuole apertura, comunità accoglienti.

Invece di giudicare, stiamo attenti! Il rischio è di essere inflessibili verso gli altri e indulgenti verso di noi.

Gesù ci esorta a non scendere a patti col male, con immagini che colpiscono: “Se qualcosa in te è motivo di scandalo, taglialo!”. È radicale, esigente, ma per il nostro bene, come un bravo medico.

Ogni potatura, è per crescere meglio e portare frutto nell’amore. Chiediamoci: cosa c’è in me che contrasta col Vangelo? Che cosa Gesù vuole che io tagli?

Solidarietà
con le Canarie colpite
da eruzione vulcanica

Esprimo vicinanza e solidarietà a coloro che sono stati colpiti dall’eruzione del vulcano nell’Isola La Palma, nelle Canarie. Penso specialmente a quanti sono stati costretti a lasciare le loro case. Preghiamo la Madonna, venerata in quell’Isola come Nuestra Señora de las Nieves.

Beatificato
don Fornasini

Oggi, a Bologna, verrà beatificato don Giovanni Fornasini, sacerdote e martire. Parroco zelante nella carità, non abbandonò il gregge nel tragico periodo della seconda guerra mondiale, ma lo difese fino all’effusione del sangue.

(Angelus dalla finestra dello studio privato
del Palazzo apostolico con i fedeli presenti in piazza San Pietro
)

Lunedì 27

Bambini
e anziani
vittime
della cultura dello scarto

Il tema della salute pubblica nell’orizzonte della globalizzazione è particolarmente attuale. La crisi pandemica ha fatto risuonare ancora più forte «tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». Non possiamo essere sordi!

Siamo logorati dalla pandemia di Covid-19 e dall’inflazione di discorsi: quasi non vogliamo più sentirne parlare. Ma la crisi pandemica ha messo in luce quanto è profonda l’interdipendenza sia tra noi sia tra la famiglia umana e la casa comune.

Le società, soprattutto in Occidente, hanno avuto tendenza a dimenticare questa interconnessione. E le amare conseguenze sono sotto i nostri occhi.

Urge invertire tale tendenza nociva, mediante la sinergia tra biologia e igiene, medicina ed epidemiologia, ma anche economia e sociologia, antropologia ed ecologia. Individuare criteri di azione tecnologici, politici ed etici riguardo ai sistemi sanitari, alla famiglia, al lavoro e all’ambiente.

La salute e la malattia sono determinate non solo dai processi della natura ma anche dalla vita sociale.

Non basta che un problema sia grave perché si imponga all’attenzione.

Pensiamo all’impatto devastante di malattie come malaria e tubercolosi: la precarietà di condizioni igienico-sanitarie procura ogni anno milioni di morti evitabili.

Non proiettare le nostre priorità su popoli che abitano in altri continenti, dove altre necessità risultano più urgenti; dove mancano non solo i vaccini, ma acqua potabile e pane quotidiano.

Fa non so se ridere o piangere, quando sentiamo governanti che consigliano agli abitanti delle baraccopoli di igienizzarsi con acqua e sapone.

Ben venga l’impegno per un’equa e universale distribuzione dei vaccini, ma tenendo conto del campo più vasto in cui si esigono gli stessi criteri di giustizia, per i bisogni di salute e promozione della vita.

Se esaminiamo, in diversi Paesi e in diversi gruppi sociali, la speranza di vita, scopriamo forti disuguaglianze [che] dipendono da variabili come il livello di retribuzione, il titolo di studio, il quartiere di residenza nella stessa città.

La vita e la salute sono valori ugualmente fondamentali per tutti, basati sull’inalienabile dignità della persona umana.

Ma se non segue l’impegno adeguato per superare le diseguaglianze, di fatto accettiamo che non tutte le vite sono uguali e la salute non è tutelata per tutti.

Sistemi sanitari gratuiti

Ci sia sempre un sistema sanitario gratuito: non lo perdano i Paesi che l’hanno, come l’Italia... altrimenti si arriverebbe a che avranno diritto alla cura solo coloro che possono pagare.

Sostenere le iniziative internazionali, volte a creare una governance globale per la salute di tutti gli abitanti del pianeta.

Il rischio di nuove pandemie continuerà a essere una minaccia.

La Pontificia Accademia per la Vita può offrire un contributo [come] compagna di strada di altre organizzazioni. Senza “annacquare” i contenuti, la proposta antropologica cristiana possa aiutare a riscoprire «come primario il diritto alla vita dal concepimento al suo termine naturale».

Siamo vittime di una cultura dello scarto... lo scarto dei bambini che non vogliamo accogliere, con quella legge dell’aborto che li manda al mittente e li uccide direttamente. E oggi questo è diventato un modo “normale”, un’abitudine che è bruttissima, è proprio un omicidio.

E poi gli anziani: che pure sono “materiale di scarto”, perché non servono. Ma sono le radici di saggezza della civiltà.

In tante parti c’è anche la legge dell’eutanasia “nascosta”, come la chiamo io: che fa dire: “le medicine sono care, se ne dà la metà soltanto”; e questo significa accorciare la vita degli anziani.

Stiamo attenti a questa cultura dello scarto: e su questo punto [in questa direzione], le università cattoliche e anche gli ospedali cattolici, non possono permettersi di andare.

Perciò va guardato con favore lo studio che l’Accademia ha compiuto sull’impatto delle nuove tecnologie sulla vita umana e più specificamente sull’“algoretica”.

(Alla plenaria della Pontificia Accademia
per la vita ricevuta nella sala Clementina
)

Mercoledì 29

Peccatori
ma giustificati dalla grazia

Incontriamo oggi con un tema difficile ma importante, quello della giustificazione. Cos’è? Noi, da peccatori, siamo diventati giusti. Chi ci ha fatto giusti?

Noi, davanti a Dio, siamo giusti... abbiamo i nostri peccati personali, ma alla base siamo giusti.

Paolo insiste sul fatto che la giustificazione viene dalla fede in Cristo. Ma la giustificazione ti viene prima.

Non è facile arrivare a una definizione esaustiva, però nell’insieme si può dire che è la conseguenza della «misericordia di Dio che offre il perdono».

Dio che perdona dall’inizio ognuno, in Cristo. Infatti, attraverso la morte di Gesù ha distrutto il peccato e ci ha donato in maniera definitiva il perdono e la salvezza.

È come un ritorno al rapporto originario tra il Creatore e la creatura, prima che intervenisse la disobbedienza del peccato.

Come avviene la giustificazione? Rispondere a questo interrogativo equivale a scoprire un’altra novità dell’insegnamento di San Paolo: che la giustificazione avviene per grazia.

In questo non si può pagare, ha pagato uno per tutti noi: Cristo.

L’Apostolo ha sempre presente l’esperienza che ha cambiato la sua vita: l’incontro con Gesù risorto sulla via di Damasco. Non siamo noi con i nostri sforzi che diventiamo giusti; siamo stati salvati per pura grazia, non per i nostri meriti.

E questo ci dà una fiducia grande. Siamo peccatori, sì; ma andiamo sulla strada della vita con questa grazia di Dio che ci giustifica ogni volta che noi chiediamo perdono.

La fede ha per l’Apostolo un valore onnicomprensivo. Tocca ogni momento e ogni aspetto della vita del credente: dal battesimo fino alla partenza da questo mondo, tutto è impregnato dalla fede nella morte e risurrezione di Gesù, che dona la salvezza.

Però non dobbiamo concludere, che per Paolo la Legge mosaica non abbia più valore; essa, anzi, resta un dono irrevocabile di Dio.

Pure per la nostra vita spirituale è essenziale osservare i comandamenti, ma anche in questo non possiamo contare sulle nostre forze: è fondamentale la grazia di Dio che riceviamo in Cristo, quella grazia che ci viene dalla giustificazione.

L’apostolo Giacomo scrive: «L’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede. [...] Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (2, 24.26).

La giustificazione, se non fiorisce con le nostre opere, sarà sotto terra, come morta. C’è, ma noi dobbiamo attuarla con il nostro operato.

La giustificazione è la vicinanza più grande di Dio con noi, uomini e donne, la compassione più grande di Dio, la tenerezza più grande del Padre. Permettetemi la parola: siamo santi, alla base. Ma poi, con il nostro operato diventiamo peccatori.

lasciamo che la grazia di Cristo venga su e quella giustizia, quella giustificazione ci dia la forza di andare avanti.

Per la Nigeria ferita
dalla violenza

Ho appreso con dolore la notizia degli attacchi armati contro i villaggi di Madamai e Abun, nel nord. Prego per i morti, i feriti e per l’intera popolazione nigeriana. Sia sempre garantita nel Paese l’incolumità di tutti i cittadini.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )