· Città del Vaticano ·

Il filo che porta all’Africa

20 settembre 2021

Treviso chiama Africa. Nel maggio 2018 un gruppo trevigiano decide di fondare, su impulso di Carlo Petrini e del vescovo di Rieti Domenico Pompili, una Comunità Laudato si’. Da subito, si decide di accostare il nome della città a quello del continente africano: «Lo abbiamo fatto — dicono i referenti — per evidenziare e sancire il legame umano, sociale e culturale che ci lega all’Africa, una terra con cui condividiamo principi, valori e spesso anche una comune identità storico-culturale. Basti pensare alle rispettive civiltà del passato e ai flussi migratori di questi ultimi anni sul Mediterraneo, che hanno fertilizzato le rispettive culture e innervato le società di molti Paesi irrobustendone il tessuto democratico, economico e sociale. Inoltre, la connessione tra le due realtà ha fatto nascere all'interno della società trevigiana una fertile e dinamica comunità italo-marocchina, fondata sul comune “sentire” e sulla condivisione di intenti, primo tra tutti il dovere dell’accoglienza e della solidarietà, i cui membri offrono alla Comunità un contributo vivace e fattivo, oltre che un arricchimento di tipo transculturale». Il tutto, per gettare le basi di una nuova etica, basata su un intreccio sempre più profondo tra uomo e natura, sullo sviluppo sostenibile, sulla lotta alle discriminazioni e alle disuguaglianze.

Questi principi sono stati sottoscritti inizialmente da una quindicina di soci aderenti, e in seguito da altri. Tre sono gli intendimenti che la Comunità intende promuovere: «Per prima cosa ricostruire un “alfabetiere per l’umanità”, riassegnando a ciascuna lettera parole fondanti, capaci di rappresentare la polpa delle realtà del mondo ed evitando contaminazioni ideologiche che spesso hanno deformato il corso della storia degli uomini con esiti catastrofici. Si tratta di ricollegare il cervello al cuore, di affrontare i problemi del pianeta avendo come criteri-guida i principi di fratellanza, di solidarietà e di giustizia. È un “abbraccio” che le nostre terre hanno già conosciuto nel passato, quando le famiglie contadine avevano sempre un piatto e un giaciglio a disposizione del viandante, o quando nel dopoguerra si ricostruì, grazie all’aiuto reciproco». In secondo luogo, il gruppo intende creare opportunità per coinvolgere l’opinione pubblica sui grandi temi dell’enciclica: «Siamo convinti che gli interessi economici continuino ad alimentare un sistema di sviluppo autodistruttivo, vanificando il grido d’allarme che sale dalla comunità scientifica internazionale. Le scelte politiche delle potenze mondiali si sono rivelate inconsistenti e comunque insufficienti, è giunto il momento di creare una grande rete che, dal basso verso l’alto, possa premere e rimuovere la stagnazione che tuttora caratterizza i rapporti fra gli Stati». In ultimo, la Comunità Treviso/Africa ha fin da subito fondato la sua attività sull’idea di consapevolezza, perché «la salvezza del mondo comincia da noi, da come ci comportiamo ogni giorno nei confronti degli altri e dell’ambiente in cui viviamo. Ognuno di noi può invertire la rotta e dimostrare che il cambiamento è possibile, anche partendo dalle “piccole buone pratiche” quotidiane».

di Sabrina Vecchi