Il messaggio eucaristico dalla capitale magiara

Una nuova partenza per il vecchio continente

 Una nuova partenza per il vecchio continente  QUO-207
13 settembre 2021

Un punto di arrivo di un percorso, ma soprattutto una nuova partenza per l’Europa, che solo mettendosi in adorazione di Gesù, Pane spezzato però vivo, e della sua croce, può risanare le proprie chiusure aprendosi alla condivisione e guarire dal ripiegamento su sé stessa.

A Budapest, dove domenica mattina ha chiuso il 52° congresso eucaristico internazionale, Francesco ha lanciato un messaggio al cuore del vecchio continente, meta del suo viaggio, ma anche all’umanità intera. Lo ha fatto celebrando la Statio orbis, cioè radunando idealmente attorno al Santissimo sacramento i fedeli di tutto il mondo nella capitale ungherese, nella piazza degli Eroi riscaldata da un sole splendente. Secondo gli organizzatori almeno centomila persone hanno assistito alla messa nei settori organizzati — e molte altre l’hanno seguita attraverso i maxischermi nelle aree limitrofe — in un’atmosfera che apre alla speranza, nonostante le limitazioni ancora necessarie a causa del covid-19. Del resto proprio una Statio orbis era stata la preghiera del vescovo di Roma in piazza San Pietro bagnata dalla pioggia il 27 marzo 2020 per implorare la fine della pandemia. Adesso l’ora più buia sembra superata e “speranza” — alimentata alla mensa eucaristica e alla scuola della croce — può essere considerata una delle parole-chiave per l’inizio di questo trentaquattresimo viaggio internazionale del pontificato.

Le parole del Papa durante il volo verso Budapest

Una trasferta che è cominciata di buon mattino: era infatti ancora ancora buio quando l’airbus a 320 dell’Alitalia con Francesco a bordo ha lasciato Roma. Dopo un’ora dalla partenza il Pontefice, come di consueto, ha rivolto alcune parole ai 78 giornalisti presenti, poi è passato a salutarli singolarmente ai loro posti. «Buongiorno. Grazie per la compagnia — ha detto —. Questo volo ha un po’ il gusto del congedo, perché ci lascia il maestro delle cerimonie: è l’ultimo viaggio, è diventato vescovo. Poi ci lascia “il dittatore di turno” [si è voltato guardando sorridendo monsignor Datonou). È bravo... anche lui è stato nominato vescovo», ha aggiunto annunciandone di fatto a sorpresa l’elevazione all’episcopato. E continuando con un’altra “nomina fuori programma”, Francesco ha reso noto che il sacerdote africano «lascia il posto ad un monsignore, Giorgio si chiama, indiano: sempre sorride, sarà un dittatore con il sorriso». Infine «ci lascia l’Alitalia», ha concluso riferendosi alla compagnia aerea. Insomma, ha ricapitolato, «tanti congedi, ma riprendiamo i viaggi e questa è una cosa molto importante, perché andremo a portare la parola e il saluto a tanta gente».

Al momento dell’atterraggio a Budapest il velivolo si è fermato nella zona dello scalo aeroportuale riservata al cerimoniale. Il nunzio apostolico Blume e il capo del Protocollo ungherese sono saliti a bordo dalla scala anteriore per salutare il Papa, che una volta disceso a terra ha ricevuto l’accoglienza ufficiale dal vice primo ministro Zsolt Semjén e da due bambini in abito tradizionale, i quali gli hanno offerto un omaggio floreale: tante varietà componevano il grande mazzo, ciascuna con un significato: dal giallo del gelsomino, simbolo di grazia, al bianco del giglio, che rappresenta la purezza. Un gesto semplice per una cerimonia breve, ma già indicativa dell’entusiasmo composto con cui gli ungheresi hanno vissuto le circa sei ore trascorse dal Pontefice nella loro capitale.

Dall’aeroporto in automobile Francesco ha subito raggiunto la centralissima piazza degli Eroi, il cuore pulsante della “Perla del Danubio” e luogo simbolico della sua storia di fede. Qui è stato allestito il maestoso palco per le celebrazioni del congresso e qui si affaccia il Museo delle Belle arti, il cui esterno con otto colonne richiama un tempio greco, dove hanno avuto luogo i primi tre incontri: nella Sala romanica con il presidente della Repubblica János Áder, in carica dal 2012, con il capo del Governo Victor Orbán, eletto nel 2010, e con il vice primo ministro; poi nella Sala rinascimentale con i vescovi del Paese e, infine, nella Sala dei marmi con i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e di alcune comunità ebraiche.

Al capo dello Stato e al primo ministro, il Papa ha donato rispettivamente un quadro in mosaico e un trittico. Realizzato dallo Studio del mosaico vaticano, il quadro riproduce su smalti policromi il dipinto Benedizione papale in piazza San Pietro di Ippolito Caffi, uno dei più originali vedutisti dell’Ottocento italiano.

Quindi, Papa Bergoglio ha parlato alla Conferenza episcopale del Paese, recitando insieme ai presuli la preghiera del Padre Nostro. Da ultimo, il momento “di unità” voluto con rappresentanti delle Chiese e delle comunità cristiane — una dozzina — e con gli ebrei che vivono in Ungheria, i quali hanno voluto donargli una Torah. In entrambi i discorsi il Pontefice ha citato il notissimo Ponte delle Catene, che dal xix secolo congiunge la zona collinare di Buda con quella pianeggiante di Pest. Esso è infatti un testimone muto di unione non solo della città, ma anche della gente che la abita. E da esso Francesco ha preso spunto per esortare a rigettare la tentazione di assorbire l’altro, di distruggere invece che costruire, di ghettizzare anziché integrare.

Il bagno di folla
con la papamobile

Infine il bagno di folla: Francesco ha compiuto un lungo giro in papamobile tra i fedeli in festa radunati nella piazza degli Eroi, dove ha presieduto la messa in latino conclusiva del Congresso eucaristico. «Sono in te tutte le mie sorgenti» (Salmi 87, 7) il tema dell’edizione 2020, poi spostata al 2021. Ma non è la prima volta che Budapest ospita questo avvenimento internazionale; lo fece già nel 1938, in un tempo in cui il mondo sentiva già l’avvicinarsi della guerra: in quella circostanza la preghiera comune dei rappresentanti di vari popoli fu una grande risposta spirituale alla minaccia che incombeva. Eucharistia, vinculum caritatis fu il tema dei lavori, mentre nell’inno congressuale i fedeli cantavano «Riunisci in pace, o Signore, ogni popolo e nazione!». Anche in quell’occasione l’assemblea si radunò in piazza degli Eroi. La stessa in cui il 16 giugno 1989, dopo la fine del regime comunista che tante sofferenze ha provocato qui in Ungheria, furono celebrati i funerali ufficiali di Imre Nagy, il primo ministro che era stato giustiziato nel giugno 1958. E Papa Bergoglio è arrivato nel sessantacinquesimo anniversario della rivolta di Budapest, che si protrasse da ottobre a novembre 1956.  Iniziata come una protesta di studenti, divenne presto ribellione contro la dittatura di  Matyas Rakosi e ottenne alcune libertà dal governo guidato proprio da Nagy, che si identificò con i manifestanti. L’epilogo sanguinoso, com’è noto, fu la repressione da parte dei carri armati dell’Unione sovietica. «I luttuosi fatti ungheresi» li definì Pio xii .

Ora, mentre si respira un nuovo clima di libertà — nell’atmosfera di festa che si coglie anche nella scelta cromatica del bianco come colore dominante non solo dei paramenti liturgici ma anche di gran parte dei cappellini e dell’abbigliamento dei presenti e della corale di mille voci che ha animato il rito — i pericoli sono altri, in questa regione che è ponte tra l’Oriente e l’Occidente dell’Europa. Ed è da essi che è venuto a mettere in guardia Francesco nell’omelia pronunciata dall’altare, su cui si notava la grande Croce della missione: alta oltre 3 metri, realizzata in legno di quercia e rivestita di una lamina bronzea, vi sono incastonate reliquie di alcuni santi legati a questa terra, come il re Stefano. Portata in pellegrinaggio in tutto il bacino dei Carpazi, ospitata in varie comunità parrocchiali, è divenuta un segno  di fratellanza e di unità.

Scandita dalla proclamazione delle letture (Is 50, 5-9, in italiano, e Gc 2, 14-18, in inglese) e del Vangelo (Mc 8, 27-35, in ungherese) della xxiv domenica del tempo ordinario, la messa è stata concelebrata da numerosi ecclesiastici, tra i quali quelli del seguito papale.

Intenzioni di preghiera sono state elevate in ungherese, francese, inglese, tedesco e spagnolo, in particolare per Papa Francesco e i vescovi, affinché sappiano portare con pazienza le croci della loro missione per la salvezza delle anime.

La recita dell’Angelus
al termine della messa

La celebrazione, alla quale era presente tra gli altri il patriarca ecumenico Bartolomeo, si è conclusa con la recita dell’Angelus da parte del Pontefice, che ha ringraziato la grande famiglia cristiana d’Ungheria per aver ospitato il Congresso eucaristico — il prossimo sarà a Quito, in Ecuador, nel 2024 — e ha ricordato il cardinale polacco Stefan Wyszyński e suor Elisabetta Czacka, proclamati beati nella vicina Varsavia.

Infine in automobile il Papa ha raggiunto l’aeroporto di Budapest, dove — di nuovo alla presenza del vice primo ministro ungherese — si è svolta la cerimonia di congedo. Dopo circa mezz’ora di volo, ancora con velivolo Alitalia, Francesco ha toccato il suolo slovacco per la seconda tappa del viaggio.

dal nostro inviato
Gianluca Biccini